L’età della postdemocrazia

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Offline hafssol

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L’età della postdemocrazia
« il: 09 Mar 2025, 12:16 »
Prendo spunto da svariati argomenti emersi in maniera sparsa nel topic sulla guerra in Ucraina e, da ultimo, dalla considerazione sulla “russificazione” dell’Europa, quanto a metodi e dinamiche democratiche, per cercare di convogliare qui le riflessioni su quello che probabilmente tra cinquant’anni gli storici analizzeranno come un periodo di transizione dall’epoca delle democrazie sociali a un’età ancora non ben definita ma facilmente riassumibile nel termine di postdemocrazia.

Il termine rimanda a un lucidissimo e anticipatore saggio del sociologo e politologo inglese Colin Crouch, nel quale mi imbattei non molto dopo l’uscita quando, una ventina d’anni fa, mi ero orientato verso studi pubblicistici e che mi riprometto di riprendere, con l’ottica ben diversa del presente.
In sintesi e al di là del riferimento bibliografico, stiamo assistendo, con diverse modalità, da circa tre decenni a un processo di trasformazione delle democrazie del secondo Novecento: una trasformazione che va nel senso della sottrazione di garanzie ordinamentali e diritti collettivi, incluso quello della partecipazione.

Le cause sono molteplici, anche esterne ma soprattutto interne a quei sistemi, che nella maggior parte dei casi vengono digradati ed erosi nel rispetto (solo) formale delle regole o in nome di ragioni economiche o di stati di necessità intesi come risposta a situazioni di crisi più o meno reali.
Sul piano ordinamentale, assistiamo alla delegittimazione degli organi "di garanzia" e di quelli che per loro natura dovrebbero essere quanto più possibile neutri e indipendenti dalla politica. Su quello della politica economica, abbiamo Stati che di fatto non possiedono più il controllo dei propri indirizzi, per cui qualsiasi misura che incida sulla spesa finisce per essere necessitata da vincoli esterni o, semplicemente, da dinamiche che le regole nazionali non sono più in grado di orientare, bensì subiscono e semmai ratificano. Su quello dei diritti, l’aspetto economico svuota sempre di più le prestazioni sociali, alterando di fatto le enunciazioni del principio di uguaglianza sostanziale. Su quello della partecipazione, il cittadino è spinto sempre più ai margini delle istanze decisionali e tende a prenderne atto disertando non solo le urne ma anche le piazze, nella convinzione sempre più diffusa che la partecipazione sia inutile perché tutto è deciso da oligarchie politico-economiche chiuse o al massimo aperte soltanto per cooptazione.

Per ora mi fermo qui, ma direi che in questo topic si possano condividere riflessioni, ma anche riportare situazioni specifiche, come quella delle elezioni in Romania o di singoli Paesi che mostrano in concreto più spiccate derive postdemocratiche.


Offline RG-Lazio

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #1 il: 09 Mar 2025, 16:53 »

Veramente molto difficile immaginare cosa possa succedere alla fine del parlamentarismo. La democrazia non é iniziata nel 1945 e non finisce con la rielezione di trump.

A me sembra che stiano cadendo tutta una serie di costrutti ideologici legati a quella che potremmo definire l´idea e l´ideologia della democrazia liberale.

Per me vanno sempre scissi l´agire e l´essere democratico con sistemi di potere e governo che si autodefiniscono democratici. Ad oggi l´analisi dei "sistemi democratici" di Aristotele é paradossalmente piú utile di altre scritte 2300 anni dopo.

Cosa ha d´interessante Aristotele? Che non parte del presupposto che la "democrazia come sistema" non sia il migliore dei mondi possibili...dunque é piú critico di altri.

Ora arriveranno i liberali a urlare "aaaa libbbbertaaaa" perché concepiscono il politico come una binarietá in cui se non democrazia allora dittatura. Tuttavia la dittatura non é l´opposto della democrazia come sistema. Per me é proprio tale dicotomia che va messa in questione se vogliamo capirci qualcosa del passato come del presente.


Tolta l´analisi...la storia procede se non per cicli quanto meno per scosse telluriche. Ci sono state fasi di stagnazione e poi rotture improvvise, in parte casuali e sono nate lotte e resistenze.

A volte abituati alla velocitá delle notizie, pensiamo di poter quasi comprendere i cambiamenti storici. Tuttavia a me sembra al contrario che questi si muovano indipendentemente dalla nostra percezione cosí come non percepiamo il movimento della terra.

Non é che la massa ubriaca parigina che prese la bastiglia fosse cosciente che stesse iniziando a distruggere di botto l´ordine feudale (uso non a caso il termine ubriaca...pare che il consumo di alcolici nelle settimante pre-rivoluzionarie a parigi abbia avuto un ruolo tutt´altro che marginale). Lo fecero i basta.

Noi pensiamo che i nostri figli saranno "peggiori" o meglio piú "mosci" di noi. Io invece penso che in maniera inconscente e ad cazzum manderanno il sistema gambe all´aria.   

Offline FatDanny

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #2 il: 09 Mar 2025, 18:07 »


A me sembra che stiano cadendo tutta una serie di costrutti ideologici legati a quella che potremmo definire l´idea e l´ideologia della democrazia liberale.


Non sai manco te ndo te sei infilato, porello.



Ora arriveranno i liberali a urlare "aaaa libbbbertaaaa"

Ah no, lo sai
:lol:

Offline Warp

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #3 il: 09 Mar 2025, 20:58 »
A mio avviso la torsione democratica si è avuta più o meno a metà anni 90. Quando il pensiero liberale globalista ha invaso il pianeta presentandosi come unica opzione praticabile nel mondo visti i fallimenti del socialismo reale che anche agli occhi della gente di sinistra non esercitava per chi piu chi meno il fascino di una alternativa. In poche parole un altro mondo non era possibile per parafrasare uno slogan del movimento no global di quegli anni.
In quel momento si sono verificati accanto a questo altri di eventi centrali alla presa di potere del liberalismo globalista.
- la creazione dell'unione europea a trazione economicista nordeuropea con il suo fondamento capitalista protestante e relativismo culturale
- la delocalizzazione della produzione in paesi a basso costo
- la crescita della cina
- la svendita della russia e delle sue immense ricchezze agli oligarchi e ai fondi americani che hanno immesso nel mondo finanziario una mole enorme di denaro con il passaggio da una economia di produzione ad una sostanzialmente finanziaria.
- la crisi della rappresentanza politica.
- l'invecchiamento della popolazione del cd mondo occidentale
- la crisi del welfare generato dalla precarizzazione del lavoro che ha scardinato il sistema sindacale e di sicurezze sociali che ha impattato principalmente sulle categorie più deboli, generando una guerra tra poveri a vantaggio del darwinismo sociale.
Le vecchie categorie politiche appaiono superate e altre non se ne vedono perchè sostanzialmente la politica non serve.
La politica è stata svuotata del senso ideale, i partiti non sono più comunità di persone con idee e progetti, ma grandi aggregati di lobby e interessi che promuovono.
Siamo confluiti dentro un "superstato" dove tutto viene deciso da strutture sovranazionali non elette o in certi casi nominate da governanti di paesi pure non eletti al governo del loro paese e che governano in virtù di conventio ad excludendum (vedi la francia, dove LFI primo partito è stato escluso dal governare a favore del secondo che è anche il partito del presidente della repubblica che ha preso parte attiva nelle trattative per creare una coalizione con un partito che alle elezioni era alleato del primo e avversario del secondo con cui adesso governa)
Assistiamo in queste ore ad un colpo di stato in romania gestito dalla oligarchia europea che non può permettersi di perdere un paese centrale anche a costo di scatenare la violenza di piazza come quella che è stata condannata in georgia poche settimane fa.

Leggiamo l'articolo 3 della nostra costutizione
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


Chiedo a chi scenderà in piazza con elkann e michele serra in difesa della democrazia dell'europa, scatenando una guerra contro putin o semplicemente armandoci fino ai denti riusciremo a realizzare questi principi sanciti in costituzione? Oppure meglio fare carta straccia della costituzione e vivere alla giornata in base alle decisioni della borsa del consiglio d'europa o di trump?
Oppure siamo in un grande truman show come quello delle armi di distruzione di massa di blair, del bombardamento di belgrado per liberare il kosovo (e oggi diventato un portofranco di tutte le mafie), dello sterminio in palestina nel silenzio assordante del giardino fiorito europeo come ebbe a dire un ex commissario ue, del ritorno del nucleare e della sostanziale abolizione del welfare state dopo che innumerevoli giornalisti prezzolati e mr. draghi ci stanno convincendo che l'europa lavora troppo poco, facciamo troppe vacanze, abbiamo stipendi troppo alti ,pensioni troppo generose e ospedali e scuole troppo economici?

Offline Warp

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #4 il: 10 Mar 2025, 20:42 »
E su quanto accaduto in Romania è intervenuto il leader di Italia Viva, Matteo Renzi: "Vado ancora una volta controcorrente e magari anche qualcuno dei miei amici liberali o riformisti si stupiranno. Impedire a un candidato di competere alle elezioni perché filorusso, come sta avvenendo in Romania, è uno scandalo totale". "Uno scandalo - aggiunge - che di democratico non ha nulla. Se un candidato ha idee non condivisibili non puoi buttarlo fuori dalle elezioni. Perché se lo fai, smetti tu di essere democratico. Tu, non il filorusso. È chiaro? La democrazia si difende nelle urne, non dalle urne".

avrà preso i soldi pure lui da putin

e il premier olandese ha stanziato 3,5 mld di euro per l'ucraina senza che il parlamento ne fosse informato.
Altro che postdemcrazia.

Offline Warp

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #5 il: 14 Mar 2025, 19:24 »


Offline hafssol

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #6 il: 15 Mar 2025, 08:12 »
A mio avviso la torsione democratica si è avuta più o meno a metà anni 90.

La chiave di volta anche per me è in quel periodo, sia a livello di erosione interna degli stati democratici, sia di prospettiva globale.
In Italia impazzava il berlusconismo (e non a caso il Cav si definiva liberale...), in Europa prendevano piede ipocrite "terze vie" e gli Stati Uniti reduci dagli Ottanta reganiani si trovavano alla guida il conservatore texano e guerrafondaio Bush senior.

Nel frattempo, decaduto il blocco del socialismo reale, le porte erano aperte per la globalizzazione, che da fenomeno economico si è via via trasformato in fenomeno "politico".
Da un lato, non vi è mai stato il passaggio alla globalizzazione del/dei diritto/i, dall'altro le logiche economiche (anzi, economiciste) si sono elevate a regolazione, più o meno "soft", anche dei rapporti tra individui e Stati.
Lo step successivo è arrivato a metà degli anni Duemila, quando dopo un decennio di tentativi ed elaborazioni concettuali, si è di fatto rinunciato a estendere a livello sovranazionale principi e meccanismi degli Stati nazionali. Il fallito tentativo di costituzionalizzare l'Unione Europea è stato il primo segnale di un'inversione di marcia, di abdicazione del ruolo di bilanciamento delle regole condivise in favore delle dinamiche naturali del mercato.
A quel punto prima le stesse istituzioni sovranazionali, poi di conseguenza anche gli Stati sono stati travolti nella loro capacità di orientare le politiche interne. Dai famosi "ce lo chiede l'Europa" all'attuazione di politiche necessitate dalle dinamiche capitalistiche, come la riduzione dei diritti e dei salari dei lavoratori, a fronte dei rischi di delocalizzazione da parte delle imprese e, soprattutto, da parte delle multinazionali.

In tutto ciò, quella che Peter Häberle teorizzava come cultura europea comune sottostante all'ipotesi di costruzione di una democrazia sovranazionale ha trovato attuazione uguale e contraria. Non solo le regole comuni (?) non sono mai diventate capaci a essere percepite come tali dai cittadini, ma anche quelle preesistenti a livello nazionale sono state via via erose, dalla narrazione della magistratura "comunista" e quindi di parte a quella della burocrazia che impedisce l'attuazione del volere del governante. Se nessun potere "terzo" viene più legittimato come tale, allora tutto il potere risiede nell'esecutivo, che piega e plasma le regole a propria immagine e somiglianza, per perseguire le finalità proprio o comunque quelle dettate dalle dinamiche economiche e dalle sue relazioni internazionali.

Oltre a essere governo di istanze non rientranti nel circuito democratico, sul piano istituzionale la postdemocrazia è di per sé democrazia esecutiva, che passa dalle urne in maniera sempre più formale e in esse si esaurisce. Una volta ricevuto il mandato, rispettando formalmente le procedure, quello che succede dopo è sempre più slegato dal circuito democratico e dall'accountability del governante. Quanto tutto ciò è davvero distante dalle pratiche orbaniane, per non dire putiniane?

Offline Costa87

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #7 il: 15 Mar 2025, 08:58 »
La chiave di volta anche per me è in quel periodo, sia a livello di erosione interna degli stati democratici, sia di prospettiva globale.
In Italia impazzava il berlusconismo (e non a caso il Cav si definiva liberale...), in Europa prendevano piede ipocrite "terze vie" e gli Stati Uniti reduci dagli Ottanta reganiani si trovavano alla guida il conservatore texano e guerrafondaio Bush senior.

Nel frattempo, decaduto il blocco del socialismo reale, le porte erano aperte per la globalizzazione, che da fenomeno economico si è via via trasformato in fenomeno "politico".
Da un lato, non vi è mai stato il passaggio alla globalizzazione del/dei diritto/i, dall'altro le logiche economiche (anzi, economiciste) si sono elevate a regolazione, più o meno "soft", anche dei rapporti tra individui e Stati.
Lo step successivo è arrivato a metà degli anni Duemila, quando dopo un decennio di tentativi ed elaborazioni concettuali, si è di fatto rinunciato a estendere a livello sovranazionale principi e meccanismi degli Stati nazionali. Il fallito tentativo di costituzionalizzare l'Unione Europea è stato il primo segnale di un'inversione di marcia, di abdicazione del ruolo di bilanciamento delle regole condivise in favore delle dinamiche naturali del mercato.
A quel punto prima le stesse istituzioni sovranazionali, poi di conseguenza anche gli Stati sono stati travolti nella loro capacità di orientare le politiche interne. Dai famosi "ce lo chiede l'Europa" all'attuazione di politiche necessitate dalle dinamiche capitalistiche, come la riduzione dei diritti e dei salari dei lavoratori, a fronte dei rischi di delocalizzazione da parte delle imprese e, soprattutto, da parte delle multinazionali.

In tutto ciò, quella che Peter Häberle teorizzava come cultura europea comune sottostante all'ipotesi di costruzione di una democrazia sovranazionale ha trovato attuazione uguale e contraria. Non solo le regole comuni (?) non sono mai diventate capaci a essere percepite come tali dai cittadini, ma anche quelle preesistenti a livello nazionale sono state via via erose, dalla narrazione della magistratura "comunista" e quindi di parte a quella della burocrazia che impedisce l'attuazione del volere del governante. Se nessun potere "terzo" viene più legittimato come tale, allora tutto il potere risiede nell'esecutivo, che piega e plasma le regole a propria immagine e somiglianza, per perseguire le finalità proprio o comunque quelle dettate dalle dinamiche economiche e dalle sue relazioni internazionali.

Oltre a essere governo di istanze non rientranti nel circuito democratico, sul piano istituzionale la postdemocrazia è di per sé democrazia esecutiva, che passa dalle urne in maniera sempre più formale e in esse si esaurisce. Una volta ricevuto il mandato, rispettando formalmente le procedure, quello che succede dopo è sempre più slegato dal circuito democratico e dall'accountability del governante. Quanto tutto ciò è davvero distante dalle pratiche orbaniane, per non dire putiniane?

FRANCO CARDINI: “RUSSIA? EPPURE IL VOTO LIBERO STA SPARENDO ANCHE QUI, SIAMO ALL’OLIGARCHIA

Franco Cardini, storico medievista, studioso di sistemi politici, nel mondo ci sono oggi più autocrazie che democrazie…

Il voto libero sta scomparendo in tutto il mondo[1]. Ci sono forme nuove, diciamo. Ma la semplificazione per cui Putin è un autocrate e qui è il paradiso delle libertà è una mistificazione[2].

Partiamo dai distinguo dell’Occidente su autocrazie amiche e nemiche. L’Egitto per la premier Meloni va bene, la Russia no.

Quali elementi costituzionali portano Meloni a stabilire che l’Egitto di Al Sisi vada bene e la Russia di Putin no?

L’invasione di un paese sovrano?

Anche l’America ha più volte invaso e attaccato paesi sovrani, ma siamo rimasti amici di Washington. Le democrazie liberali nella storia spesso sono state aggressori di altri Stati. Mi devono spiegare anche perché la non soluzione del caso Regeni va bene e la non soluzione del caso Navalny non va bene. Il punto è che siamo nel blocco NATO, completamente allineati agli Stati Uniti. Il resto sono davvero chiacchiere difficilmente sostenibili.

Non vorrà dire che le democrazie occidentali siano uguali alla Russia?

Le nostre democrazie sono zoppicanti, ma mica da ora. Nelle nazioni occidentali più della metà delle persone non va più a votare. Certo che la Russia, che definirei democrazia autoritaria e non autocrazia, è caratterizzata da restrizioni nell’esercizio del potere democratico. Ma anche qui dalle nostre parti il meccanismo di scelte, seppur quantitativamente più largo, è sempre più qualitativamente ristretto. Sono delle oligarchie che scelgono i candidati. E spesso “al ribasso”, privilegiando persone poco colte, poco capaci, poco preparate, spesso poco oneste, ma per questo più inclini ad agire da yes men e magari più facilmente corruttibili e ricattabili

Ma abbiamo ancora un sistema con più partiti. In Russia c’è di fatto il partito unico, no?

In Russia, Putin e pochi sodali disegnano la Duma. Da noi è maggiore il numero dei partiti, ma siamo sempre di fronte a piccole élites con poche unità dirigenziali che scelgono i componenti delle liste, quindi i candidati. E la sostanza, in presenza di un’astensione sempre più elevata, è quella di oligarchie che sono solo apparentemente alternative.

Be’, nei nostri sistemi il potere è contendibile. O no?

Da noi i partiti e i loro rappresentanti sono formalmente più liberi. Ma la sovranità è limitata, questo è evidente. In politica estera e in economia ci sono tutte queste differenze fra destra e sinistra? Direi proprio di no. E questo è determinato anche dal fatto che ospitiamo circa 120 basi americane sul nostro suolo [negli ultimi anni la presenza militare degli americani in Italia è aumentata. Nel 2013, le basi con presenza Usa in Italia erano 59, adesso – secondo alcuni osservatori qualificati – sono salite a circa 120, più altre che si ritiene siano tenute segrete per motivi di sicurezza. Non tutte sono basi Nato, ci sono quattro tipi di strutture diverse: quelle concesse agli Stati Uniti in base a due accordi firmati negli anni Cinquanta, che rimangono sotto comando italiano mentre gli Stati Uniti detengono il controllo militare su equipaggiamento e operazioni; le basi Nato propriamente dette (quindi con una propria catena di comando); le basi italiane messe a disposizione della Nato in base agli accordi dell’Alleanza atlantica e le basi condivise da Italia, Stati Uniti e Nato][3]. C’è una differenza fra paese legale e paese reale, fra alto e basso: il basso è la metà di cittadini che non si riconosce nel sistema e non va a votare. Ma a governare e decidere, per conto di qualcun altro, sono le oligarchie. Ad esempio l’Occidente esita a condannare Israele, che dell’Occidente fa parte, su quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza. Eppure per Putin è stato oggetto di un mandato di arresto internazionale per molto meno di quanto sta facendo Netanyahu ai palestinesi.

Non si può sostenere, però, che in paesi come Russia o Cina sia consentito il dissenso, mentre da noi lo è.

Noi siamo più vicini a loro di quanto si pensi anche da questo punto di vista. E sarà sempre peggio. Quello che mi rifiuto di fare è tirare una linea tra libere democrazie e tirannide, perché non è così[4].

Può paragonare mai i nostri Parlamenti a quelli di Russia e Cina?

Soprattutto in Cina in Parlamento, le posso assicurare, finiscono persone ultracompetenti e preparate. Con grandi specializzazioni tecnologiche e organizzative. Quindi dal punto di vista qualitativo non c’è partita. Poi mi può fare un discorso di uniformità politica al proprio governo. Ma come dicevo prima poi, anche da noi, rispetto alle grandi scelte di politica internazionale o di sistemi economici, l’uniformità emerge eccome, la scarsa qualità non è affatto compensata quindi da una quantità di punti di vista che compare solo prima delle elezioni e poi svanisce[5].
(il Fatto Quotidiano, 22 marzo 2024)

https://www.francocardini.it/minima-cardiniana-460-3/

Offline Costa87

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #8 il: 15 Mar 2025, 11:21 »
E qual è lo stato di salute della nostra civiltà, nell'era della postdemocrazia? Aldous Huxley ed Erich Fromm provano a darci delle risposte. Scomode. Da notare; "il Ritorno al mondo nuovo", da cui prendo la citazione, è stato pubblicato nel 1958. Forse, quello che siamo oggi è il risultato di quello che eravamo ieri.

Ebbene, i progressi tecnologici di questi ultimi anni in che senso hanno agito sull'individuo? Ecco la risposta del filosofo e psichiatra dottor Erich Fromm: 'La nostra società occidentale contemporanea, nonostante il progresso materiale, intellettuale e politico, è sempre meno capace di condurre alla sanità mentale, e tende a minare invece la sicurezza interiore, la felicità, la ragione, la capacità d'amore nell'individuo; tende a trasformarlo in un automa che paga il suo insuccesso di uomo con una sempre più grave infermità mentale, con la disperazione che si cela sotto la frenetica corsa al lavoro e al cosiddetto piacere'. La nostra «sempre più grave infermità mentale» può esprimersi in sintomi nevrotici, palesi, quanto mai desolanti. Ma «attenti» continua il dottor Fromm «a non ridurre l'igiene mentale alla semplice prevenzione dei sintomi. I sintomi, in quanto tali, sono per noi non nemici, ma amici; dov'è un sintomo, là è conflitto, e conflitto significa sempre che forze vitali lottano ancora per l'integrazione e per la felicità.» Le vittime veramente disperate dell'infermità mentale si trovano proprio fra gli individui che paiono normalissimi. «Molti di essi sono normali solo perché si sono adattati al nostro modo d'esistenza, perché la loro voce di uomini è stata messa al silenzio in età così giovane che essi nemmeno lottano, né soffrono, né hanno i sintomi del nevrotico.» Non sono normali, diciamo così, nel senso assoluto della parola; sono normali solamente in rapporto a una società profondamente anormale. Il loro perfetto adattamento a quella società anormale è la misura della loro infermità mentale. Questi milioni di individui abnormemente normali, che vivono senza gioia in una società a cui, se fossero pienamente uomini, non dovrebbero adattarsi, ancora carezzano «l'illusione della individualità» ma di fatto sono stati in larga misura disindividualizzati. Il loro conformismo dà luogo a qualcosa che somiglia all'uniformità. Ma «uniformità e libertà sono incompatibili. Uniformità e salute mentale sono anch'esse incompatibili... L'uomo non è fatto per essere automa, e se lo diventa, va distrutta la base della sanità mentale»

(Aldous Huxley, Ritorno al Mondo Nuovo, pag. 232-233).

Offline Warp

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #9 il: 15 Mar 2025, 14:22 »
Noi si continua a pensare di avere a che fare con una forma in qualche modo democratica, perché non abbiamo realizzato che abbiamo a che fare con un simulacro di democrazia.
Una struttura tecnocratica di carattere autoritario che ha bisogno semplicemente di salvare le apparenze.
Peraltro il fatto che l'Unione Europea sia un sistema di carattere tecnocratico è risaputo visto che non si contano i libri dedicati al tema.
I Parlamenti sono elementi poco più che folkloristici che vengono scavalcati per ragioni superiori da gruppi dirigenti che non rispondono alle popolazioni europee.
Si creano maggioranze spurie tra gruppi di interesse solo apparentemente avversari per tenere fuori dalla porta chi potrebbe (almeno a parole) spezzare la catena verticali di potere (francia, austria, romania, moldavia, germania. I chihuahua baltici hanno tagliato la testa al toro e deciso direttamente di escludere pezzi della popolazione, russi e bielorussi residenti, dal diritto di voto).
Ecco perché la discussione neoliberismo/neoliberalismo mi pare inutile.
Qui non parliamo di libero mercato, di laissez-faire, valerio zanone, reagan, thatcher e tutto l’armamentario del secolo scorso.
Il neoliberismo non ha colore politico, (come dice giustamente FD comprende gente dal pd fino a fdi), è una colore che sta bene su tutto diciamo, è una teoria in cui lo stato è perfettamente presente, può essere anche estremamente intrusivo ma lo fa in funzione delle oligarchie finanziarie quindi la sua funzione non è quella di lasciare il mercato stare a stesso ma come sta facendo la Von der Leyen svuotare le casse pubbliche per riempire le commesse private attraverso la produzione di armamenti a vantaggio delle oligarchie finanziarie ed economiche.

Il punto ora è che si tratta di realizzarlo evitando forme troppo spettacolari di repressione.Il simulacro di democrazia va salvaguardato mica possiamo fare come in argentina dove si massacra la gente che protesta in strada
A questo servono le forme mediatiche pubblicitarie propagandistiche le manifestazioni,  per in qualche modo riuscire a creare un'atmosfera se non proprio di consenso almeno non palese opposizione, dire, vedete i cittadini ci seguono.
Il resto va silenziato dal discorso pubblico attraverso leggi che già esistono in Italia  e in tutti gli altri paesi europei,  come  il Digital Services Act, per tacitare censurare bloccare e sanzionare tutte le forme che si ritengono essere in qualche modo pericolose (es. sono stati chiusi tutti i siti e canali social riconducibili alla russia o a certi gruppi filopalestinesi con la ridicola accusa di antisemitismo).
Il sistema mediatico che è strettamente e totalmente dipendente dalle dinamiche economiche e finanziarie delle oligarchie europee, è il braccio armato della tecnocrazia autoritaria visto che il mercato editoriale non dipende più dagli acquirenti dei giornali in crollo da almeno 20 anni ormai.
Quindi possiamo prevedere che ci saranno manifestazioni pacifiste e di protesta contro questo progetto criminale di riportare la guerra in europa a spese delle classi più deboli, nel momento in cui ci saranno queste manifestazioni di dissenso verranno fatte degenerare, verranno inviati agenti provocatori in modo da creare il servizio televisivo e dire ecco vedete i finti pacifisti che poi rovesciano i cassonetti, bastonano le vecchiette e bruciano la roba in strada e tutte  le solite provocazioni che vediamo da almeno 60 anni in italia e in occidente.
Le ultime manifestazioni filo palestinesi sono un esempio di questa strategia, dove “casualmente” il giornalista era piazzato con camera e microfono dove “casualmente” appariva la bandiera di hamas o qualche slogan ritenuto non presentabile. E in questo modo si squalificava l’intero corteo composto da migliaia di persone, annullandone la manifestazione del pensiero e la partecipazione democratica.
Io sono molto pessimista sulla possibilità di un ritorno a dinamiche democratiche vere, perché non credo che chi è a guardia di questo regime mollerà il potere di spontanea volontà, penso che le alternative alla rivolta violenta non ci siano.

Tifiamo rivolta

Offline mr_steed

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #10 il: 17 Mar 2025, 15:18 »
"non perdiamoci di vista" (cit.)

Il Pride vietato per legge, la proposta del partito di Viktor Orban in Ungheria

Il testo afferma che la limitazione è necessaria «per assicurare che in Ungheria si svolgano solamente le assemblee che tengono conto del diritto dei bambini a uno sviluppo fisico, psichico e morale adeguato»


https://www.open.online/2025/03/17/ungheria-orban-vs-diritti-lgbt-legge-divieto-pride/
 

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