“Le polemiche sulle foibe? Temo sia un prezzo inevitabile da pagare. In generale, la storia del confine orientale ha subito un fortissimo uso pubblico: fin dagli inizi, quando la questione di Trieste negli anni ’50 era ancora aperta, e poi anche dopo la sua ripresa, alla fine della guerra fredda. Uno scontro che si riproporrà ad ogni celebrazione mi sa. L’importante è non ridurlo a questo, perché questo è esattamente il gioco degli estremisti, di tutte e due le parti: tornare alle letture dei fatti che si facevano negli anni ’50, imperniate sulla contrapposizione fascismo/comunismo e che non consentivano di capire quello che era successo. Fa male che questi episodi oscurino tutti gli sforzi compiuti da tanti in questi anni, anche dalle istituzioni”. Raoul Pupo, professore di Storia contemporanea all’Università di Trieste, uno dei massimi conoscitori del fenomeno delle foibe e dell’esodo, commenta così lo scontro tra la Lega e l’Anpi dopo che l’associazione dei partigiani di Parma ha deciso di partecipare il prossimo 10 febbraio, Giorno del Ricordo, a un convegno dal titolo “Foibe e Fascismo”.
Professore, perché le foibe sono ancora un tema così divisivo ed è così complicato ancora oggi celebrare senza polemiche il Giorno del Ricordo?
"Complicato lo è sempre stato perché è la storia che è complicata. Non c’è niente di particolarmente nuovo quest’anno rispetto agli anni scorsi. Ma rispetto alla grande mole di celebrazioni, di interventi, di dibattiti e di percorsi che si fanno sul Giorno del Ricordo, questi sono episodi marginali. Diciamo che c’è una certa sovraesposizione mediatica di questi pochi episodi rispetto alla gran massa di iniziative per la memoria. Ci sono alcuni gruppi, estremamente ristretti, che hanno una posizione abbastanza particolare sul tema delle foibe e che sanno che le loro posizioni suscitano sensazioni".
C’è uno schieramento anche da parte degli storici su questo argomento?
"Sì, c’è stato, ma parliamo ormai di vent’anni fa. La storiografia di sinistra e quella ufficiale jugoslava non facevano altro che ripetere quelle che erano state le tesi propagandistiche delle parti slave e cioè che le foibe, intese come stragi, o non c’erano state oppure erano state soltanto un fenomeno marginale. Poi però questo è cambiato. La storiografia ormai queste posizioni le ha abbandonate negli anni ‘90 del secolo scorso".
C’è chi ha detto che l’Anpi partecipando a quel convegno sostiene tesi negazioniste. Si può parlare di negazionismo?
"Partiamo da un concetto. Il negazionismo è una valutazione negativa pregiudiziale rispetto alle prove. Si applica un metodo iper critico a ogni fonte per distruggere l’oggetto dell’analisi. Ci sono atteggiamenti negazionisti quando ci si rifiuta di vedere che dietro le stragi c’era un progetto politico. E noi, invece, abbiamo le fonti che parlano che dietro tutto ciò ci fu un progetto politico. Un progetto di eliminazione dei cosiddetti nemici del popolo, che era molto chiaro".
Ma tra gli interventi della manifestazione di Parma al centro delle polemiche ce n’è uno che si intitola: “Foiba di Basovizza, un falso storico”.
"Questi sedicenti storici usano molte frasi ad effetto. Dietro le frasi ad effetto, che sono fatte per provocare, c’è una realtà complicata. Noi sappiamo abbastanza bene quello che è successo a Basovizza perché abbiamo molte testimonianze. Che sono attendibili e che parlano di una strage, cioè dell’uccisione di alcune centinaia di persone. Non abbiamo, però, l’evidenza dei corpi del delitto, perché i recuperi sono sempre falliti. E quindi questo lascia evidentemente qualche problema. E’ molto probabile che la certezza assoluta non si potrà avere. Di solito, però, chi pronuncia queste frasi ad effetto si riferisce a un altro fatto: e cioè a quella che è stata la versione più diffusa su Basovizza. All’epoca dei tentati recuperi, infatti, c’è stato un giornalista che ha fatto questo calcolo, piuttosto ingegnoso: “sappiamo quant’è la profondità del pozzo, sappiamo quant’è la massa di detriti che c’è dentro, calcoliamo quanti corpi ci potrebbero essere”, ed è arrivato a una stima, non so se attendibile o meno, di 1500 corpi. Però non vuol dire che ci siano, vuol dire che ci potrebbero stare fino a 1500 corpi. Poi, nella vulgata un po’ propagandistica, questi si sono trasformati nei 1500 infoibati di Basovizza. Quindi se questi storici si riferiscono a questo, hanno perfettamente ragione. Di solito, però, partono da questo ragionamento per dire: allora non è successo nulla, perché non c’è l’evidenza dei corpi. E’ questo il salto negazionista".
Uno degli altri interventi critici si riferisce al film su Norma Cossetto, la giovane studentessa istriana infoibata nel ’43.
"Io non l’ho ancora visto. Ho sentito le polemiche che lo stanno accompagnando ma lo guarderò l’8 febbraio in tv".
Sul film pochi giorni fa anche la polemica tra Fratelli d’Italia e gli esuli. Perché questa corsa da parte della destra, o dell’estrema destra, a mettere il cappello sulle foibe?
"C’è sempre stata fin da quando il fenomeno si è prodotto. Tentano di dare una lettura estremista di tutto quello che è accaduto. La cosa che mi rende più perplesso è che in realtà quello che è accaduto in quegli anni non ha riguardato solo i fascisti, ma una massa di persone molto ampia: è stata una tragedia della popolazione italiana. Questi sono tentativi di cattura politica di una tragedia che in realtà è stata di tutti".
Ecco, che cosa sono state le foibe?
"Sono state delle stragi compiute a due riprese, nell’autunno del ’43 e nella primavera del ’45, da parte di organi del movimento di liberazione e poi dello stato jugoslavo, che avevano come loro obiettivo quelli che loro consideravano nemici del popolo. Una categoria molto flessibile in cui nell’autunno del ’43 rientrava un segmento di classe dirigente italiana – alcune centinaia di vittime – mentre nel ’45 la questione si fece più complicata, vista l’esistenza di almeno tre obiettivi: uno punitivo, nei confronti di chiunque era sospettato di crimini contro il movimento di liberazione; uno epurativo, per mettere fuorigioco gli elementi più pericolosi che potevano opporsi all’annessione alla Jugoslavia (e qui dentro c’erano anche gli antifascisti italiani, compresi i membri del Cln); e un terzo obiettivo intimidatorio, nei confronti di tutta la popolazione affinché non si opponesse a quello che stava succedendo. Quando parliamo di foibe in quanto stragi, ricordiamoci che la maggior parte delle vittime non sono finite nelle cavità carsiche ma sono morte in prigionia o scomparse chissà dove. Foibe è quindi un termine sintetico”.