Massima comprensione e compassione, massimo rispetto per il dolore.
Ma questa roba è folle. E ritengo sbagliato rendere pubblici questi dolori e deliri privati, soprattutto con una motivazione di fondo "politica" e non psicologica. Sociale e non personale.
Non mi permetto di giudicare quindi la parte personale del messaggio, di ipotizzare se chi l'ha scritto e ha compiuto quel gesto sia stato realmente lucido o in stato di depressione. Rientra nell'ambito degli affetti personali. Non giudico neanche la famiglia, che per dare un senso al proprio dolore usa questa lettera come vendetta verso la società che ritene colpevole per la perdita del figlio.
Però se le motivazioni che adduce per il suo gesto estremo potessero realmente giustificare questo giudizio apocalittico sulla realtà e sul futuro, l'umanità si sarebbe dovuta estinguere da millenni.
La stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive ed ha vissuto "cercando di sopravvivere", con infiniti meno diritti rispetto ad un trentenne precario del nordest italiano nel 2017. Vive a rischio della propria vita, senza diritti sulla propria salute, sulla propria istruzione, sulla propria libertà, sulla propria sicurezza.
Allora il tema sono le aspettative, personali e sociali, il modello di vita unico proposto, piuttosto che "il precariato" e ciò che "dice Poletti". Un modello imposto di successo, benessere, lusso basato soprattutto sull'insoddisfazione. Citando la lettera "Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione."
Ma la vita può e deve offrire ben altri stimoli, ben altre soddisfazioni, ben altre risposte.
Si può e si deve lottare, a livello sociale, politico e personale, contro il modello di società imposto e non per raggiungerne i vertici. Si può e si deve puntare ad una società più giusta, più equa, più inclusiva, per se stessi e per gli altri, e non per far parte dell'1%.
Si può cercare la felicità in mille momenti, affetti, personali non legati direttamente al benessere consumistico. La gioia è dietro ogni angolo, anche se spesso fugace.
Il precariato non uccide. Uccide l'insoddisfazione, uccide il dolore, uccide la paura.