L’età della postdemocrazia

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Online Warp

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #20 il: 04 Apr 2025, 21:50 »
Orsini qualche tempo fa disse che non era intenzione di Hitler scatenare la guerra  :=)) :=)) :=))
Io dalla sua piazza starei lontano anche professasse il paradiso in terra.

il problema non è Orsini con cui si può essere d'accordo o meno ma che un giornalista scriva in pezzo esplicitamente dicendo di non andare ad una manifestazione. detto da gente che un paio di settimane da celebrava "la partecipazione popolare" a piazza del popolo pagata dal comune di roma.
Feccia piddina

Offline Lativm88

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #21 il: 05 Apr 2025, 11:29 »
Penso che i giornalisti possano dire quello che più aggrada loro, si può essere d'accordo o meno.
Sempre per non andare a scivolare nella post democrazia.
I giornalisti scrivono quello che gli pare, i politici non attaccano i giudici e i giudici fanno indagini dove ritengono.
Queste 3 cose sono abbastanza importanti e proprio quelle che stiamo vedendo attaccate da molti anni.
Negli ultimi anni, soprattutto per il martirio palestinese, la questione stampa è molto molto evidente.

Offline mr_steed

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Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #22 il: 05 Apr 2025, 14:55 »
Il senso della democrazia del figgicciotto panterino cappellini che riscopre la sua antica indole stalinista.



siccome alla fine alla manifestazione c'è anche il pd, verdi e sinistra, acli, anpi e non so quanti altri (nelle immagini tv ho visto Boccia e Ruotolo), i repubblichini hanno riproposto "l'articolo" in home page sostituendo il titolo con il solo concetto che era espresso nel vecchio "catenaccio"...

Online Warp

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11664
Re:L’età della postdemocrazia
« Risposta #23 il: 05 Giu 2025, 09:09 »
L’Europa dei cannoni: Il tramonto del Diritto tra riarmo e nichilismo politico
 
Daniele Trabucco

La corsa al riarmo promossa in sede europea e spalleggiata da diversi Governi occidentali, sempre più forte soprattutto dopo le recenti vicende del conflitto russo-ucraino, rappresenta uno dei sintomi più evidenti di un’involuzione epocale del pensiero politico e giuridico contemporaneo. Non si tratta soltanto di un mutamento strategico, bensì di un capovolgimento assiologico: ciò che un tempo costituiva l’eccezione, cioè l’uso della forza armata, diventa oggi il principio ordinatore della politica internazionale, sancendo un ritorno alla preistoria del diritto delle genti.

L’Unione Europea, nata (almeno in teoria) dal rifiuto radicale della guerra come strumento ordinario di risoluzione delle controversie, abdica alla sua missione originaria per allinearsi a una logica di potenza che ne svuota la natura giuridico-costituzionale e la priva di ogni spessore filosofico. Lo stesso progetto «ReArm Europe», ideato come risposta strategica alla crescente instabilità globale e come deterrente nei confronti della Federazione Russa, si presenta come un massiccio piano di investimenti pubblici nella difesa, con l’obiettivo dichiarato di costituire un’autonomia strategica europea.

Tuttavia, sotto questa formula si cela un nuovo paradigma securitario che riconduce l’identità politica dell’Unione non più all’integrazione giuridica (peraltro fortemente discutibile e problematica), bensì all’unità militare. Un tale progetto segna il tramonto della cultura del diritto a favore della cultura del dominio. In esso si può riconoscere l’inquietante influenza di un realismo politico divenuto cinico decisionismo, per cui l’efficacia strategica soppianta ogni criterio di legittimità sostanziale.

A ciò si aggiunge l’irrilevanza manifesta delle forze politiche nazionali teoricamente più vicine a una visione garantista dell’Europa. Il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano pro tempore, On. Giorgia Meloni, pur esprimendo dubbi semantici e tecnici sul piano «ReArm», si dimostra incapace di articolare una visione alternativa realmente incidente sul piano europeo. Il suo dissenso, confinato alla forma e privo di forza argomentativa giuridico-filosofica, conferma l’evanescenza della classe dirigente italiana nella costruzione del futuro europeo. In altri termini, si registra un deficit di «auctoritas» ancor prima che di «potestas»: l’Italia non propone un ordine alternativo perché ha smarrito il suo pensiero politico.

Diversa e ancor più allarmante è la traiettoria britannica. Il Premier inglese, Keir Starmer, insediatosi con la promessa di una restaurazione istituzionale post-johnsoniana, ha rapidamente assunto i tratti di un tecnocrate bellicista. Il suo piano di rafforzamento militare, volto a preparare il Regno Unito al «combattimento entro il 2035», non è solo una scelta strategica, ma una dichiarazione ontologica sulla funzione dello Stato: non più garante di diritto e libertà, bensì centro di comando e minaccia.

Le sue stesse aperture all’ipotesi di invio di truppe in Ucraina sotto l’etichetta di «peacekeeping» riflettono una concezione strumentale del diritto internazionale, ridotto a copertura retorica di decisioni già prese in base a logiche di potere. L’interventismo democratico si rovescia, come già nella stagione post-2001, in imperialismo umanitario. Il problema, in realtà, è più profondo: è l’architettura stessa del pensiero giuridico moderno ad essere in crisi.

La legittimazione del riarmo si fonda su un’idea hobbesiana della sovranità come monopolio della forza, rafforzata dal paradigma schmittiano dell’«amico-nemico». In questa visione, il diritto si ritrae dinanzi all’emergenza e l’ordinamento si riduce a decisione. Il problema è che questa logica, fondata sull’eccezione, viene ora normalizzata: la guerra non è più il limite estremo del diritto, ma diventa la sua matrice.

Il pensiero giusnaturalista classico ci ricorda, invece, che la pace è non solo un bene politico, ma il telos intrinseco del diritto. Il diritto, nella sua essenza, è ordinamento razionale al bene comune e questo non può essere perseguito attraverso strumenti intrinsecamente disordinati come la guerra o il riarmo sistemico. La legittima difesa è giustificabile solo come extrema ratio e secondo criteri di necessità, proporzionalità e finalità retta. Purtroppo, nel progetto europeo odierno tali limiti sono cancellati: si prepara la guerra per abitudine, si investe nella difesa senza finalità determinata, si accetta la logica dell’armamento come fine in sé. È il trionfo dell’irrazionalismo politico.

Il silenzio della cultura giuridica dinanzi a questa deriva è assordante. Solo un pensiero che riscopra la priorità del diritto, quale partecipazione della giustizia, sulla forza, la centralità della persona sulla macchina bellica e la trascendenza della giustizia sulla pura efficienza, potrà offrire un’alternativa. Ciò implica, però, una rottura con il cinismo dominante, un recupero del diritto naturale come criterio critico dell’azione politica e un ripensamento radicale della stessa idea di sicurezza. In assenza di questo sforzo filosofico e giuridico, l’Europa è destinata a diventare ciò che aveva giurato di non essere mai più: un continente armato contro se stesso, guidato da Governi che, nella migliore delle ipotesi, si limitano a gestire l’inevitabile; e, nella peggiore, lo accelerano con cieca determinazione.

La corsa al riarmo non è segno di forza, bensì manifestazione della debolezza di un progetto politico che ha smarrito la propria ragion d’essere.
 

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