Estratto un pò lungo ma molto interessante riguardo il disturbo istrionico della personalità.
Qualcuno ha mai avuto a che fare direttamente o indirettamente con questa patologia?
sarebbe bello poter avere uno scambio di opinioni in merito.
1. Premessa
I caratteri istrionici si presentano come seduttivi, affascinanti. Vogliono fare colpo. Vogliono essere al centro ed attirare l’attenzione. Hanno sempre bisogno di un pubblico. Hanno sviluppato abilità da showman, improvvisatori, attori. Sanno calarsi in un ruolo e recitare una parte. All’interno di un gruppo, riescono a scaldare l’atmosfera, a coinvolgere, euforizzare le persone. Tra le diverse subpersonalità, sono quelli meno autentici, più nella maschera, più nel personaggio. E quindi sono anche tra quelli più estranei a se stessi, cioè alla loro vera identità, oltre che staccati, estraniati in mezzo agli altri.
2. Ferita
La ferita dell’istrionico è simile a quella del depresso: all’origine c’è un vissuto di esclusione, di estraneità, quindi una mancanza di sintonia profonda, rispetto, contatto, amore. Nella ferita dell’istrionico troviamo angosce depressive, senso di [...]tà, mancanza di affetto, timore di soccombere. Come nel depresso, una parte dell’energia vitale si ripiega su se stessa, vuole sparire, vuole morire. La convinzione profonda è: io non sono degno d’amore e affetto. L’emozione di fondo è la paura della solitudine e della morte. Come nel depresso c’è un fondamentale vissuto di inferiorità.
“Ci sono delle situazioni familiari che facilitano lo sviluppo di una subpersonalità istrionica rispetto a quella depressa?”
Sì, ci sono vari tipi di ambienti che predispongono il bambino a questa subpersonalità.
Ad esempio un ambiente familiare caotico, contraddittorio, imprevedibile, privo di guida e di validi modelli. Il bambino viene punito oggi per qualcosa di cui domani non ci si accorgerà nemmeno o addirittura lo si premierà. Oppure, il bambino non viene preso sul serio, come se fosse troppo piccolo, troppo stupido, troppo poco importante per rispondere alle sue domande.
Così le ingiunzioni che il bambino riceve sono: non crescere, non pensare. E di fatto, nell’istrionico troviamo sia la difficoltà a pensare in modo adulto, sia l’incapacità di assumersi responsabilità.
“Questo tipo di ambiente non predispone alla subpersonalità ossessiva? Cioè il bambino, per sopravvivere, si dà delle regole, e naturalmente se le dà con la logica infantile, assolutista, dicotomica, rigida?”
E’ vero. Un ambiente caotico può facilitare lo sviluppo ossessivo, oppure l’istrionico, che è il suo opposto. Si può ipotizzare che ci sia una componente tipologica del bambino che facilita l’una o l’altra direzione. L’ossessivo è per sua struttura un thinker e un judger; l’istrionico è un feeler e un perceiver. L’ossessivo cerca che cosa è giusto in base a regole astratte. Se trova le regole nell’ambiente, le assume e le fa sue; se non le trova, se le costruisce, perché è in questo modo che funziona il suo cervello. L’ossessivo pensa, programma, prevede e controlla. L’istrionico, invece, è centrato sui sentimenti e tende a improvvisare in base al momento presente, non quindi a programmare e darsi regole. L’ossessivo è rigido e si contrappone; l’istrionico è flessibile e manipola.
“Ci sono altre possibili origini?”
Sì, in generale i modelli genitoriali non improntati all’autenticità, che guardano più all’apparenza, al successo esteriore, alla mondanità, alla rispettabilità, all’opinione degli altri, più che alla verità dei sentimenti, alla sincerità, al rispetto di sé stessi e dei figli come persone. In questo tipo di famiglia il bambino avverte la falsità dei rapporti, la non comprensione e rispetto dei suoi veri bisogni. A lui viene chiesto di adeguarsi a un mondo in cui ciò che conta è la maschera esteriore, cui dietro corrisponde il vuoto dei sentimenti, la mancanza di verità, calore, riconoscimento. I genitori recitano una parte: nel profondo essi sono estranei a se stessi e tra loro. Al bambino viene chiesto altrettanto. E lui si adegua, o recitando lo stesso copione dei genitori, assumendo gli stessi valori di conformismo, o recitando il copione opposto: il ribelle, la pecora nera. Ma sempre di recita si tratta. E il prezzo da pagare è l’inautenticità, l’estraneità da se stesso, la mancanza di identità.
“Quindi la mancanza di confini, di comprensione dei propri veri sentimenti, bisogni, desideri?”
Sì, l’istrionico è un attore che recita non sul palcoscenico, ma nella vita, a tempo pieno. A suon di recitare, non è più in grado di uscire dal personaggio. E siccome sa fare solo questo, almeno ha bisogno di un pubblico che lo applauda.
Ma dietro questa facciata, c’è un dolore profondo, che lui cerca in ogni modo di tenere lontano, per non soccombere e collassare.
“E non ricadere nella depressione?”
Sì. Questa è la sua ferita.
3. Sé inferiore e maschera
Nel sé inferiore, come nel depresso, troviamo molta rabbia: rabbia di essere squalificato, ignorato, svalutato, non riconosciuto. La rabbia del depresso è per non aver ricevuto amore; quella dell’ossessivo è per essere stato bloccato, ingabbiato; quella dell’istrionico è rabbia di chi, giunto sulla scena della vita, è stato ignorato, non riconosciuto, non visto come persona. La sua identità non è stata compressa e ingabbiata come nell’ossessivo: la sua identità è stata ignorata. Di qui il suo grande bisogno di affermarsi, e dire: io, io! Questo fortissimo bisogno di affermazione nel sé inferiore si accompagna alla prepotenza narcisistica, che vuole imporsi, schiacciare gli altri, renderli schiavi. Vorrebbe un pubblico osannante, perennemente al suo servizio.
“Naturalmente la maschera si forma per controllare questa pretesa troppo egocentrica!”
Sì, la maschera dell’istrionico cerca di coprire la rabbia narcisistica, e di trasformarla in seduzione, creatività, fascino. La decisione della maschera è: “ti sedurrò, così avrò la tua ammirazione di cui ho bisogno!”
“Senza attirarsi l’aggressività degli altri, come farebbe il sé inferiore”.
Certo. La maschera non solo non vuole scatenare l’aggressività, ma vuole lodi, ammirazione, plauso, o addirittura riconoscenza. Guai a non applaudire o criticare lo show di un istrionico: egli si allontana e diventa un nemico.
“Perché, specificamente?”
Egli mette tutta la sua energia per essere applaudito, riconosciuto. Se fallisce, rischia di ricadere nel vissuto depressivo, nella ferita. Rischia di contattare quella parte di sé, fragile, debole, triste, che non vuol assolutamente vedere. La politica della maschera è diretta totalmente a creare un personaggio che è esattamente l’opposto di quella parte: un personaggio affascinante, seduttore, vincitore. Un personaggio che susciti l’ammirazione e l’invidia, capace come nessun altro di conquistare i rappresentanti del sesso opposto: di qui la seduzione sessuale e il bisogno di competere nelle tenzoni amorose.
D’altra parte, il mancato successo mette in moto anche il sé inferiore, punitivo, vendicativo, narcisista. La politica del sé inferiore sarebbe disastrosa se si manifestasse all’esterno: addio fascino, addio stile e bellezza. Ne uscirebbe un personaggio veramente odioso, che otterrebbe solo biasimo e rifiuto. Di qui i mezzi che la maschera mette in moto per controllarlo.
4. Controllo sul sé inferiore
“Quali mezzi?”
Il mezzo più semplice è la negazione accompagnata da disprezzo: non mi ammirano perché non valgono, sono delle nullità, non capiscono la mia grandezza, la mia finezza. Il disprezzo viene agito allontanandosi improvvisamente: queste persone non mi meritano! E poco dopo andando alla ricerca di un pubblico più condiscendente.
“Il disprezzo consente al sé inferiore di scaricare in parte la rabbia?”
Sì, e di allontanare il pericolo da sé: disprezzando gli altri, evita di disprezzare se stesso. Evita di ricontattare la ferita, dove il dolore lo risucchierebbe come un buco nero, rendendolo privo di energia e facendolo collassare.
“Il disprezzo non è tipico della subpersonalità narcisista?”
Sì, infatti, come dicevo, il sé inferiore dell’istrionico ha molti tratti narcisisti. C’è però una differenza: nell’istrionico il narcisismo è all’opposizione, non al governo. Il narcisista manifesta esteriormente il disprezzo. L’istrionico no. Manifestare disprezzo è troppo contrario alla politica della sua maggioranza, che ha scelto la via della compiacenza, della seduzione, della manipolazione, non dell’imposizione, della prepotenza, del dominio.
Per questo l’istrionico, non apprezzato, si ritira e, sdegnato, cerca un altro pubblico migliore da conquistare. Talvolta egli passa velocemente da un pubblico all’altro, ritirandosi quando ancora scrosciano gli applausi, per non subire le naturali cadute di attenzione.
“Quindi ricevere lodi, apprezzamento, attenzione, è per lui un modo di controllo del sé inferiore?”
Sì. Ottenendo continue gratificazioni narcisistiche, il suo governo toglie ogni pretesto all’opposizione. E’ come se dicesse: “Di cosa puoi lamentarti? Io sono ammirato, stimato, benvoluto. Ciò indica che la mia politica è vincente”. Un po’ come il governo di un paese ricco nei confronti di un partito comunista: “Ma per che cosa protestate? Avete tutto!” Una popolazione benestante non è la miglior candidata a sostenere un’ideologia marxista.
Nello stesso tempo, le carezze che ottiene servono a tamponare temporaneamente la ferita: “Non è vero che non valgo. Tutti mi cercano, tutti mi ammirano”.
“Una sorta di sovracompensazione?”
Sì. Questo è particolarmente evidente nei confronti dell’altro sesso. La conquista di un partner, specie se difficile, ricercato, magari già impegnato, fornisce all’istrionico una sorta di apoteosi dell’io: “io, io sono un genio, grande, splendido, superiore!”. Ma a questa fase, segue prima o poi una caduta. Spiegati i mezzi d’assalto, adoperati tutti gli strumenti di seduzione e fascinazione, la domanda diventa: e adesso? Come posso essere sempre all’altezza della mia immagine? Cos’altro mi posso inventare? Come posso ancora affascinarlo? A questo punto è facile che, per evitare la difficoltà, perda interesse e si rivolga altrove, alla prossima conquista.
“Stai dicendo che l’istrionico non presenta se stesso, ma la sua immagine?”
Certo. Egli è innamorato, affascinato dalla sua stessa immagine. Immagine, però, che è costruita, e che non è in contatto con il sé profondo.
“Di qui l’estraneità da se stesso?”
Sì. Egli gonfia la sua immagine, come il narcisista. Ma l’immagine, staccata dalla vera identità, non può mai costituirne un vero nutrimento. Non c’è lode, non c’è apprezzamento al mondo che possa curare davvero la ferita e ritornare al core.
“Perché?”
Perché il piano dove si muove l’istrionico non è quello della sua realtà profonda. Alienato da sé stesso, tutto ciò che fa, dice, agisce ha effetti sull’immagine, non sul nucleo profondo, da cui egli si tiene continuamente lontano.
“Ma ci sono casi in cui si rivela, piange, si confessa di questo, si apre davvero, si scopre per quello che è: una persona disperata!”
Anche questi momenti di apparente verità, spesso non sono che recite. Poi tutto torna come prima. Ma intanto è riuscito a farsi consolare, e magari ancora una volta ammirare per la sua sincerità, genuinità, coraggio. In tal modo ha lasciato uscire davvero un po’ di tristezza della ferita, ma subito l’ha coperta con l’energia della maschera, che ancora una volta va in cerca di attenzione e conferma.
5. La risorsa antidoto
“Quali sono le risorse antidoto?”
Egli ha sviluppato una grandissima capacità di attirare l’attenzione, di sedurre, di euforizzare. Sa empatizzare, sa cogliere molto bene i sentimenti dell’altro, e sa utilizzare questa capacità per creare un forte coinvolgimento e attrazione. Sa conquistare letteralmente l’altro. Di fronte al dolore, empatizza, ma sa anche sdrammatizzare. E’ molto flessibile, sa vedere le cose in modi sempre nuovi, è creativo. Ha molta immaginazione, fantasia. Sa creare nuovi mondi, nuove storie.
Non è attaccato ai dati sensoriali. Egli prende spunto dalla realtà, per costruire una sua realtà interna, sempre originale. Vive nel presente. Ha poca memoria storica.
Come tipologia, egli è un feeler e perceiver, quindi è focalizzato sui sentimenti e agisce flessibilmente, senza schemi.
Come feeler, è stato molto colpito da bambino dalla disattenzione dei genitori, dalla loro incapacità di vederlo. Egli condivide l’aspetto feeler con il depresso.
Quando il suo adulto, una volta decontaminato dalla maschera e disponibile a contattare la verità, va in missione dal bambino interiore, ebbene questo adulto è veramente capace di sintonizzarsi sui bisogni di quel bambino, comprenderlo, e dargli in massima misura ciò di cui ha bisogno: attenzione, ascolto, euforizzazione.
Il bambino interiore dell’istrionico, in contatto con la ferita, è un depresso. E il depresso può essere molto aiutato dalla vivacità e giocosità dell’istrionico.
“Naturalmente occorre, come hai detto, che l’adulto sia decontaminato, altrimenti…”
…altrimenti semplicemente non va in missione dalla ferita, non si prende questa responsabilità. Oppure lo fa in modo così superficiale, che rinforza ancora il vissuto di esclusione del bambino interiore. Ma questo in genere non avviene, perché, lo ripeto, l’istrionico comunque ha una notevole capacità empatica, come il depresso.
“Con in più la marcia della giocosità e della creatività?”
Sì, e della sdrammatizzazione. Abituato a vivere su un palcoscenico, l’istrionico ha imparato a uscire ed entrare dai personaggi, quindi a identificarsi e disidentificarsi. Sa drammatizzare, ma altrettanto bene sa sdrammatizzare. E questa è una capacità che gli rimane, anche quando da subpersonalità diventa stile.
6. Il problema dell’identità
Ogni subpersonalità è una struttura difensiva. Ma difensiva da che cosa? Se si aderisce, come facciamo noi, al modello della corenergetica, troviamo che ognuna di queste strutture presenta diversi livelli di difesa: la maschera difende dalle incursioni del sé inferiore; il sé inferiore difende dal contatto con la ferita, e quindi dal riprovare il dolore.
“E la ferita? Costituisce anch’essa una difesa?”
Sì. Il dolore, ogni segnale di dolore, ha una funzione originariamente difensiva. Se metto una mano su una stufa, mi scotto, così la ritiro immediatamente.
“Da che cosa difende il dolore della ferita?”
Dal tenere aperto e quindi vulnerabile il nostro nucleo o sé profondo. Il depresso ha ricevuto troppi rifiuti; l’ossessivo ha subito troppe costrizioni; lo schizoide ha subito troppa estraneità; l’istrionico ha ricevuto troppa disattenzione. Ognuna di queste cose ha prodotto troppo dolore nel bambino. Il dolore gli insegna a chiudersi, ritirarsi, corazzarsi, oppure a compiacere, manipolare, sedurre o a contrapporsi. In ogni caso egli blocca la sua naturale apertura e spontaneità. Perde la sua capacità di amare, e quindi di essere amato. Perde la sua capacità di affidarsi, e quindi di ricevere.
L’energia vitale, come energia di amore, subisce delle deviazioni dal suo flusso espansivo e attrattivo: si ripiega su se stessa, nella ferita; diventa distruttiva, nel sé inferiore; diventa manipolativa, nella maschera.
Soltanto una parte dell’originale forma energetica continua il suo percorso diretto, e costituisce la base di quelle che abbiamo definito “risorse antidoto”.
“Quindi, in sintesi, le subpersonalità, come difese, servono a tenerci lontani da noi stessi, dalla nostra verità?”
Esattamente. La nostra verità, il nostro core, è gravato e incrostato da queste strutture. Esse lo coprono, lo proteggono, lo schermano. Impediscono che esso continui a subire ferite così gravi. Ma nel contempo ne impediscono la sua espressione, la sua manifestazione.