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G8 di Genova 15 anni dopo, Agnoletto: “Oggi il Sud del mondo siamo anche noi”. E il mistero irrisolto sulla Diaz
Il bilancio dell'allora portavoce del Genoa Social Forum nei giorni della morte di Carlo Giuliani, degli scontri e delle violenze della polizia.
di Mario Portanova | 21 luglio 2016
Quindici anni dopo il G8 di Genova, il Sud del mondo non esiste più. Nel luglio del 2001 quel movimento variegato e magmatico scendeva in piazza al grido di “Cancella il debito” e additando Wto, Fmi e Banca mondiale come responsabili delle politiche neoliberiste che strozzavano i paesi più poveri, dall’Africa all’Asia all’America Latina. Oggi, ragiona Vittorio Agnoletto, già portavoce del Genoa Social Forum, “non esiste più una linea di demarcazione: ci sono tanti Sud anche nel Nord” colpito dalla crisi mentre la ricchezza si sposta in India, in Cina e in altri Paesi un tempo “in via di sviluppo”. Tant’è che nel 2016, sottolinea Agnoletto, “per la prima volta in quindici anni il Forum sociale mondiale si tiene in un paese del Nord del mondo, in Canada, ad agosto”. Dalla prima edizione a Porto Alegre in Brasile, nel gennaio 2001, alla moderna e benestante Montreal il passo è lungo e non solo in termini di chilometri: “Lo statuto del Forum vietava di tenere gli incontri in Paesi del Nord, perché allora la povertà e lo sfruttamento stavano a Sud”, spiega Agnoletto, oggi tornato al suo mestiere di medico del lavoro. In attesa dell'”altro mondo possibile” invocato a Genova, però, il mondo ha girato per conto suo: la ricchezza si concentra sempre di più, anche se a macchia di leopardo nel globo, la povertà si insinua ovunque senza riguardo per la latitudine. Quindi il Forum emigra in Nord America perché “la finanza domina l’economia e se vogliamo cambiare dobbiamo iniziare da lì”.
Agnoletto, quindici anni dopo che cosa resta del movimento sceso in piazza a Genova nel 2001?
Quel movimento come tale non esiste più. Non ha retto la repressione del G8 e molte componenti, per esempio quelle di area cattolica e pacifista, si sono allontanate. Ognuno è tornato a occuparsi dei propri temi.
Nella protesta contro il G8 avevamo colto pienamente le conseguenze della finanziarizzazione dell’economia
E sul fronte delle idee? Che cosa è rimasto?
Nella protesta contro il G8 avevamo colto pienamente le conseguenze della finanziarizzazione e dei cambiamenti climatici che il modello neoliberista avrebbero provocato. Poi la critica alle ricette del Fondo monetario internazionale, allora applicate in Africa e oggi in Europa, con la distruzione di servizi e istruzione pubblica. L’opposizione agli accordi commerciali internazionali, che ha fatto scuola per casi più recenti, come Ttip ed Epa. Poi la grande protesta contro la guerra, a Firenze nel 2002: questo sistema energivoro la alimenta, come vediamo oggi. Infine, vorrei ricordare che le manifestazioni di Genova si aprirono il 19 luglio 2001 con il corteo dei migranti, tema di cui oggi cogliamo il legame netto con i conflitti nel mondo.
Quel movimento non c’è più, almeno in Italia. In questi anni ha riconosciuto dei suoi eredi?
Syriza e Podemos hanno materialmente le loro radici a Genova, i loro futuri leader erano presenti. E se sono stati sconfitti nei rispettivi Paesi, Grecia e Spagna, è perché questo tipo di lotta può essere solo globale, non nazionale. Poi le primavere arabe, per le quali diversi Forum sociali nel Maghreb e a Bamako, in Mali, hanno creato spazi e occasioni di aggregazione. L’Europa ha la gigantesca responsabilità di avere lasciato soli questi movimenti, creando il vuoto poi occupato dal fondamentalismo e dai militari. Lo stesso vale per i movimenti democratici turchi, che infatti sono rimasti stritolati. Poi penso a Occupy Wall Street, che ha ripreso in toto i nostri temi. Le vittorie più concrete si sono avute però in America Latina, dove la sinistra è tornata al governo con Morales, Lula e altri.
Nel bilancio delle vittorie mancano però alcune voci non da poco, come Italia, Europa…
E’ vero, in Europa non siamo riusciti a produrre vertenze e ottenere risultati. E’ stato anche difficile trovare lo spazio, se pensiamo a quanti primi ministri e ministri delle Finanze venivano direttamente dal mondo delle banche e della finanza. Sono convinto che la sconfitta del movimento in Europa abbia aperto le porte al populismo xenfobo di destra, così ora il confronto è solo tra quest’ultimo e il modello neoliberista. Il risultato lo vediamo, in ultimo con la Brexit. Però vorrei ricordare che a Genova nacque un’espressione oggi molto diffusa: beni comuni. La vittoria al referendum sull’acqua pubblica del 2011 è sicuramente figlia del movimento di Genova.
A Montreal discuterete anche sul destino del Forum mondiale, un modello che i suoi 15 anni li dimostra tutti.
Sì, il Forum sociale mondiale ha esaurito il suo tempo, trovarsi a parlare una volta l’anno non può essere l’unico obiettivo. Deve diventare un coordinamento di movimenti che passano all’azione, come accaduto nel 2003 contro la guerra in Iraq, con mobilitazioni coordinate in tutto il mondo. Guerra, finanza, modello di sviluppo a minore intensità energetica devono essere i temi centrali.
Lei fu un protagonista delle giornate di Genova. Se oggi potesse ottenere dal genio della lampada una sola risposta sui misteri di quei giorni di scontri e abusi, che cosa gli chiederebbe?
L’episodio più grave resta l’uccisione di Carlo Giuliani, per la quale non c’è stato neppure un processo (l’inchiesta della Procura di Genova si concluse con l’archiviazione per legittima difesa per il carabiniere Mario Placanica, ndr). Al genio, però, chiederei come mai i massimi vertici della polizia di stato, la notte del 21 luglio, quando il vertice G8 e tutte le manifestazioni sono terminate da ore, decidono di alzare il livello dello scontro con l’irruzione alla Diaz. Facendo precipitare le istituzioni nella totale illegalità, come hanno poi dimostrato le sentenze. Il mistero è ancora più grave perché il blitz viene deciso da uomini legati al centrosinistra, dal gruppo di Gianni De Gennaro, poi difesi da Amato e Violante. La mia idea è che abbia pesato anche la loro volontà di accreditarsi con il centrodestra di Berlusconi appena salito al governo, evitando così lo spoils system che colpì tutti i settori.