Gli anni ’60, a livello musicale, significarono l’esplosione del rock, della canzone d’autore, dei canti di protesta. Ma quell’epoca segnò anche la riscoperta della musica folk. Questo genere musicale era stato ‘rimosso’ dalla nuova borghesia nata negli anni del boom economico, una borghesia che cercava di dimenticare le sue origini regionali e desiderosa di darsi una veste ‘rispettabile’ con l’utilizzo di una lingua italiana moderna e asettica.
Eppure, in Italia, la musica popolare aveva una antica e radicata tradizione che annoverava -tra gli altri- i canti polifonici dei camalli genovesi, le tarantelle del Gargano, i cori ‘a tenore’ sardi, le tamurriate, gli stornelli, i canti delle mondine, i componimenti religiosi.
La riscoperta di questa musica folk ha una data e un luogo precisi: il Festival dei Due Mondi a Spoleto del 1964, quando viene messo in scena
Bella ciao, uno spettacolo corale con i migliori rappresentanti del folklore di tutte le nostre regioni.
Da quel momento, la musica popolare torna veramente ad essere ‘popolare’: nel 1967 nasce a Napoli la
Nuova Compagnia di Canto Popolare di Peppe Barra ed Eugenio Bennato, sotto la supervisione di uno studioso e grande compositore come Roberto De Simone. La NCCP era portatrice di una visione ardita della musica napoletana, con ritmi nuovi e tribali allo stesso tempo. Il gruppo raggiunse un grande successo con
Tamurriata nera, un pezzo scritto nel 1944 (con musiche di E.A. Mario, autore della
Canzone del Piave), storia di una donna che mette al mondo un bimbo ‘nero’, concepito da un soldato durante l'occupazione americana. La NCCP ripropone la canzone con un arrangiamento ‘etnico’ e con la geniale aggiunta di strofe che ‘napoletanizzavano’ il brano
Pistol Packin’ Mama del cantante country Al Dexter (‘
E levate 'a pistuldà uè / e levate 'a pistuldà, / e pisti pakin mama / e levate 'a pistuldà’).
Anche Roma dà il suo contributo alla riscoperta della musica popolare: nei primi anni ’70 nasce un gruppo folk,
Il Canzoniere del Lazio, che vede la collaborazione di intellettuali come Alessandro Portelli, e sempre nella Capitale si afferma una cantante viscerale, incontenibile, capace di cantare senza filtri e mediazioni stilistiche: Gabriella Ferri, la quale col suo tono struggente e malinconico riesce a valorizzare e rinnovare la tradizione della canzone romana.
Dalla Puglia arriva invece il più ‘irregolare’ dei cantanti folk: Matteo Salvatore. E’ un semi-analfabeta di famiglia poverissima (padre facchino, madre finta mutilata per chiedere l’elemosina) che viene notato mentre canta in un ristorante dal regista Giuseppe De Santis, il quale lo incoraggia alla carriera musicale.
Matteo Salvatore canta poveri e diseredati, braccianti e pescivendoli, e vive di prima persona il senso di riscatto presente nelle sue canzoni. I testi dei suoi brani incantano pure Italo Calvino il quale disse: "
Le parole di Salvatore dobbiamo ancora inventarle”.
Sarebbero ancora tanti i cantanti di musica folk che si dovrebbero citare, perché questo genere musicale rappresenta un patrimonio culturale ricchissimo, ed in gran parte ancora inesplorato, che ci riporta alle nostre radici, alla consapevolezza della nostra identità più remota. Ma, per intanto, ecco per noi…