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Con le elezioni del 1987, DP portò in Parlamento otto deputati e fra di essi Cip e Patrizia Arnaboldi, eletti a Milano: lui uscì grazie ai voti della cintura operaia, in particolare di Sesto.
Lui detestava quell'atmosfera di aria fritta, i dibattiti farraginosi e inutili perchè le sedi decisionali sono altrove, lontane dal Parlamento, i giochi già fatti. Non perdeva però occasione di sfruttare i pochi spazi disponibili ad un parlamentare di opposizione: il lavoro di commissione, per la possibilità di attingere dati, talvolta di incidere; le interrogazioni, più che per le risposte del governo, che tardano mesi e di solito dicono poco, perchè permettono di portare i problemi a conoscenza del pubblico e di aggirare il silenzio-stampa; gli incontri con le delegazioni, per disintossicarsi dall'aria pesante dell'aula e parlare con gente vera di problemi veri. (...)
Ci fu la famosa "Filosofiat" -la contestazione della marcia su Milano degli Agnelli- che ebbe inizio una sera del novembre 1987 in una piazza Duomo stracolma per manifestare solidarietà ai licenziati dell'Alfa, da poco acquisita da Fiat. Anima politica della serata, Luigi, neoeletto di Dp, insieme ai compagni della fabbrica e agli artisti di sempre: Paolo Rossi, Dario Fo, Enzo Iannacci, Fabio Treves; mentre in un Palatrussardi addobbatissimo la Fiat presentava la nuova vettura Alfa, col supporto di uomini di spettacolo attratti dal fascino dei vincenti: due Milano incomunicabili.
Arnaldo ricorda invece, di quel periodo, il supporto dato da Cip, insieme ai compagni di Genova, alle lotte dei portuali. Aveva compreso l'importanza di quella lotta per l'autogestione operaia e contro la privatizzazione delle attività marittime.
Il consiglio dei delegati del Perro Negro organizzò un convegno sulla piattaforma occupata, che venne disertato dal sindacato ufficiale. In quel bellissimo intervento in mezzo al mare Luigi denunciò la politica di privatizzazione selvaggia delle partecipazioni statali, il risanamento dell'Eni scaricato interamente sulla pelle dei lavoratori italiani e stranieri a prezzo di licenziamenti ed insostenibili condizioni di lavoro, e sul denaro pubblico; la vendita di barche ad Ortona coi marittimi incorporati ('un nuovo mercato degli schiavi'), la politica energetica inquinante e fallimentare basata sul petrolio e sul carbone comperato dal Sudafrica. E ancora, le connivenze dell'Agip coi mafiosi in Sicilia, gli affari dell'Eni con Gelli in Argentina; per poi indicare, al solito, delle strade concretamente percorribili per salvaguardare l'occupazione, la salute dei lavoratori e l'ambiente: la riconversione della chimica di base, nuove politiche energetiche basate sul metano e la geotermia.
In quel periodo Cip era infaticabile: andò a Caorso, a Montalto di Castro, alla Farmoplant, ovunque i compagni lo chiamassero, nei limiti del possibile e oltre, perchè la salute cominciava a dargli problemi. Lo chiamavano nelle situazioni più difficili, nelle fabbriche occupate quando c'era pericolo di un intervento della polizia. Si prese diverse denunce: per diffamazione, per blocco stradale, una per invasione di stabilimento (se non ricordo male, dalla Fiat). Causa sfratto, ci eravamo nel frattempo trasferiti a Cremona. Anche qui, Luigi animò diverse iniziative di DP. Una di esse, insieme ai compagni di Autonomia, fu la lotta contro la costruzione della "Arvedi due", una mega-acciaieria di seconda fusione altamente inquinante. Per il contributo di Cip, quella che sarebbe stata una delle tante lotte di sapore locale acquistò un impatto diverso. Si documentò, oltre al grosso danno ambientale dell'impianto per la ricaduta di metalli pesanti attraverso polveri e fumi, il suo costo in termini di spesa pubblica e di occupazione: la licenza ad Arvedi aveva come contropartita la chiusura dell'acciaieria di Bagnoli, modernissima e costata centinaia di miliardi, che faceva la stessa produzione di coils in acciaio. Cremona è una città semiaddormentata, dove il cavalier Arvedi, potente satellite di Agnelli, la fa un po' da padrone delle ferriere: la sua faccia soddisfatta dell' "uomo fatto da sè" compare in tutte le salse, a cominciare dalla stampa locale di sua proprietà. L'insolito risveglio di coscienze preoccupò il cavaliere che, attraverso un suo uomo, tentò di avvicinare Luigi proponendogli un incontro a quattr'occhi. "Dica al cavaliere che mi venga a rispondere in assemblea, in privato dò appuntamento solo alle belle donne", rispose lui lasciando sconcertato l'interlocutore. A Cremona quasi tutti sono educati, avvezzi alle cosiddette buone maniere e all'obbedienza verso i potenti, sicchè queste cose fanno scalpore. Il risultato di tutto ciò fu una denuncia per diffusione di notizie false e tendenziose e disturbo all'ordine pubblico, diretta anche ad alcuni di noi, che Luigi si accollò per intero andando ad autodenunciarsi come l'estensore del materiale di propaganda che avevamo diffuso. Sempre a Cremona Cip si prese una denuncia persino per un'interrogazione parlamentare, che sollevava il problema di ingiustificati esborsi di denaro chiesti da una struttura ospedaliera ai degenti, per servizi illegalmente appaltati ai privati ma di competenza dello Stato. La denuncia, che proveniva dallo staff dell'Usl, appena cessato il mandato parlamentare venne accolta dal procuratore della Repubblica, che lo rinviò a giudizio: caso unico nella storia del nostro paese e pare di tutta l'Europa occidentale dove, per norma costituzionale, gli atti parlamentari sono sottratti al sindacato della magistratura. Il "distratto" procuratore se ne avvide quando ormai la gente, intimorita, si era rassegnata a pagare.
Per tutta la durata della legislatura Luigi partecipò ai lavori della commissione bilancio. Preparò fra l'altro una relazione di minoranza alla finanziaria '88-89, nella quale documentava la redistribuzione di ricchezza verso le imprese e i percettori di rendite, il bluff dell'offensiva contro evasori ed elusori, il costo sociale della manovra per i lavoratori e le categorie disagiate, l'aggravamento dei deficit strutturali, dei problemi della produzione, dei trasporti, dell'agricoltura. Sperava che il partito avrebbe utilizzato questo grosso lavoro, costato mesi, per colmare il vuoto di proposta politica che permaneva, nonostante l'attivismo e la presenza nelle lotte. Non andò così: "troppo difficile per la comprensione dei compagni", gli fece sapere la segreteria nazionale. Non ci ricavarono neppure un volantino. Come si infuriò!
Forse fu quella l'ultima volta che Luigi si arrabbiò con DP. Non abbandonò il partito -che era d'altronde oramai giunto al capolinea- ma perse ogni residua fiducia. Nè, più tardi, aderì a Rifondazione comunista, come invece gran parte dei compagni rimasti in DP dopo la scissione degli Arcobaleno: ci vedeva una continuazione del PCI, la preponderanza dell'apparato, la mancanza di una proposta politica adeguata ai tempi e di una revisione degli errori della sinistra, persa nella "adorazione dello stato" e delle sue istituzioni.
Non tutti i compagni hanno compreso questo passaggio di Luigi: abituati al "Cip missionario" con un ruolo sempre e comunque propositivo anche nell'organizzazione, non hanno capito il Cip sfiduciato e ipercritico degli ultimi anni.
"Un intellettuale, un parlamentare può anche fare a meno del partito, un operaio no -dice per esempio Guido Visco- per gli operai il partito è una necessità. Se è sgangherato bisogna darsi da fare per raddrizzarlo, da soli non si fa nulla". Altri invece lo hanno capito e visto nella sua parabola politica una dimostrazione della sua coerenza. (…)
A metà legislatura venne istituita la Commissione parlamentare stragi, nella quale Luigi si inserì dall'inizio e fu attivissimo. Non era solo l'amore di giustizia a fargli cercare le verità celate dietro tanti delitti impuniti, ma anche la consapevolezza, maturata in vent'anni di ricerca politica, dell'esistenza di un potere reale, ben più forte di quello emergente dai meccanismi della democrazia parlamentare: un potere oligarchico, arrogante, intrecciato a quello criminale come a quello statuale, operante senza alcun vincolo, che era stato in grado di assestare una sconfitta decisiva al movimento operaio. Era la coscienza dell'inutilità di tante battaglie della sinistra, tutte giocate sul terreno istituzionale e formale e della necessità per contro di studiare questo potere reale, per capirne i piani e le alleanze e quindi saperlo combattere, per aprire nuovi spazi di azione politica. Nell'attività compiuta per la Commissione Luigi trovò ulteriori conferme alle ipotesi della sinistra rivoluzionaria: da tutta la vicenda Stay behind alle strutture di militari e civili reclutati a migliaia in funzione anticomunista e contro i movimenti, dirette dai capi dei servizi e ben note alle massime cariche dello stato, agli intrecci tra poteri forti -massoneria, mafia, istituzioni economiche- stato e partiti. Fu la fedeltà assoluta alle sue chiavi di lettura del potere il motivo più forte della impossibilità, per Cip, di aderire ad un partito che riteneva ancora stalinista e incapace di superare la cultura filoistituzionale.
Umberto Gay, forse il più amato dei suoi ex "discepoli", giornalista di Radio popolare e oggi consigliere comunale di Rifondazione, dice di aver imparato da Cip soprattutto una cosa: il metodo che ispirava quella ricerca sul potere.
(…)Tanti hanno detto che Luigi aveva un brutto carattere, che era ipercritico e perennemente insoddisfatto. Ma se brutto carattere vuol dire manifestare con assoluta sincerità la propria insoddisfazione verso non solo il nemico, o l'esistente, ma anche verso i propri fratelli, le persone più vicine che si comportano in modo che tu non ritieni adeguato ai problemi del mondo, della gente, degli oppressi, mi mancherà tanto quel suo brutto carattere.
Quel "brutto carattere", nel senso che ha appena spiegato Umberto è costato a Luigi, specie negli ultimi anni, l'isolamento anche nella sua area politica. Non che i compagni avessero smesso tutti di volergli bene, anzi. Credo si fosse creato intorno a lui una sorta di cordone sanitario, di difesa, per una legge direi fisiologica, propria di ogni apparato. Non credeva più al partito, poneva continuamente problemi, voleva si discutesse di cose che non fruttano nè pubblicità sui giornali nè risultati elettorali. (…)
Su tutto quello che faceva Cip, persino sul suo nome, il silenzio-stampa era quasi totale. Nessun canale televisivo l'ha mai ospitato, capitava anzi che le sue intuizioni venissero attribuite ad altri: come se i direttori di testata si fossero accordati per censurarlo.
Lui non se ne curava granchè; ebbe diverse minacce anonime, delle quali si curò ancor meno. Rischiare sembrava divertirlo: vuol dire che do fastidio per davvero, diceva. Era di un'audacia assoluta. Quando in Commissione si cominciò a discutere -per l'insistenza sua e di altri parlamentari di opposizione- del caso Moro, ebbe un incidente un po' sospetto: fu investito, nei pressi di Montecitorio, da due giovani in moto che non si fermarono a soccorrerlo. Se la cavò con una frattura a una gamba e un'ingessatura (avrebbe però potuto finire peggio, se non avesse avuto la forza di spingere di lato la moto in corsa) che lo tenne lontano da Roma per quasi due mesi. A me, ai compagni che si preoccuparono della possibilità di un attentato rispondeva minimizzando "a Roma c'è traffico"; di prendere qualche precauzione, magari solo rafforzare la serratura di casa, non voleva neanche sentir parlare. La sua assenza da Roma fu invece usata da Enzo Biagi in una trasmissione televisiva che lo segnalava per assenteismo: guarda caso quella cosiddetta statistica era stata fatta -oltre che soltanto sulle presenze in aula, che sono la parte minore del lavoro parlamentare- proprio in quei mesi: alla sua richiesta di smentita venne dato uno spazio ridicolo, che scomparve del tutto nella replica della trasmissione. Luigi liquidò la cosa con un "povero servo" e non se ne curò più. (…)
In quegli stessi giorni, Luigi stava facendo i suoi nuovi progetti: scrivere un libro sulla vicenda Moro - sarebbe stato il suo primo libro, quando era "militante" non aveva molto tempo per scrivere - poi un secondo sugli intrecci massoneria-stato e, sulla base della fortuna di quei volumi costituire a Milano un centro studi che approfondisse la ricerca sul potere. Progetti anch'essi impegnativi ma da portare avanti senza fretta, che gli consentivano finalmente di pensare anche un po' a se stesso. Si era rimesso a dipingere.
La tranquillità non rientrava nel suo karma. Se n'è andato in due minuti per un infarto improvviso, stroncante. Era il 5 settembre 1992.