Mentre il forum è in fibrillazione per capire l'esito dell'enigma-Sow, vorrei proporre un topic distensivo e che ci aiuti anche a sopportare le temperature di questa estate terribile.
Si può ripercorrere la storia di una nazione attraverso le sue canzoni? Credo di si, soprattutto per l'Italia, dove la musica nel corso dei secoli ha rappresentato la più importante forma di arte popolare. Un tempo cantavano le contadine durante il lavoro dei campi, cantavano gli innamorati sotto i balconi, si cantava in chiesa e nelle processioni per farsi sentire da un Padreterno troppo lontano, si cantava per rappresentare i drammi teatrali (ed infatti il melodramma è nato in Italia). E questo vizio non ce lo siamo tolti, perché ancora oggi continuiamo a cantare nelle feste di matrimonio, allo stadio, sotto la doccia, in cucina mentre prepariamo l’amatriciana.
In Italia più che altrove, dunque, la canzone è stata uno strumento espressivo universale, il più duraturo e diffuso, un miracolo della selezione culturale racchiuso nello spazio di soli tre o quattro minuti.
Proviamo allora a ripercorrere la storia della canzone italiana, cioè della nostra cultura più profonda, e -per non andare troppo lontani- partiamo da una data precisa: il 1958. L’Italia di quel periodo era un Paese ancora in gran parte agricolo, che cercava faticosamente di lasciarsi alle spalle le ferite della guerra. Il primo febbraio di quell’anno andò in onda la serata finale del Festival di San Remo, presentato da un elegantissimo Gianni Agus. Partecipava tutto il Gotha della musica melodica italiana: Nilla Pizzi, Gino Latilla, Giorgio Consolini, Natalino Otto, il ‘reuccio’ narciso Claudio Villa. Si esibiva anche un semi-sconosciuto giovanotto pugliese, autore di una strana canzone che nessuno voleva cantare (a quei tempi le canzoni venivano assegnate a cantanti ‘puri’ dalla commissione artistica del Festival), e che perciò fu in via eccezionale eseguita dallo stesso autore. La 'stranezza' di quel motivo musicale stava nel fatto che
Nel blu dipinto di blu non era una canzone d’amore, ma un inno alla vita del tutto privo di sensi di colpa, ed evocava -in un paese cattolico come il nostro- una esperienza liberatoria quasi pagana, il tutto condito da uno swing rivoluzionario. Co-autore del testo era Franco Migliacci, un giovane paroliere che faceva vita da bohemién, e che -come racconta la leggenda- trovò ispirazione da ‘Le coq rouge’, un quadro onirico di Marc Chagall.
Nel blu dipinto di blu (nota anche come
Volare) ebbe l’effetto di una bomba, non solo perché stravolgeva antichi stereotipi melodici, ma anche perché diventò l’icona musicale di una Italia ormai pronta a volare verso la modernizzazione e il boom economico. Insomma: quel primo febbraio del 1958, nel Salone del Casinò di San Remo, era nata la moderna canzone italiana, e quindi proprio con questa canzone propongo di partire per il nostro viaggio musicale.