Romanzo musicale

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Offline Fiammetta

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #320 il: 30 Ago 2023, 20:37 »
@Leo...@Fiammetta

Ci avete offerto l´antipasto e ora ci lasciate a stomaco vuoto???  :) :beer:
Scusa RG e scusatemi tutti, ma è un momentaccio. Ho una scadenza e l'Operazione Delfino è un argomento complesso con pochissime fonti.
Re:Romanzo musicale
« Risposta #321 il: 31 Ago 2023, 21:16 »
Questa è la storia di Rocco, un ragazzino calabrese il quale -all’età di dieci anni, nel 1949- raggiunse il padre che lavorava come minatore in Belgio.
Erano tanti i minatori italiani che lavoravano in quel paese, grazie ad un accordo tra De Gasperi ed il governo belga, che prevedeva il trasferimento in Belgio di 50.000 operai sotto i 35 anni in buono stato di salute, in cambio di 200 kg di carbone al giorno garantito all’Italia.
Appena arrivato in Belgio, Rocco trova un ambiente ostile: nella piccola città mineraria vive in una miserabile baracca di legno, la gente del posto è diffidente, il clima è freddo, a scuola viene emarginato e lo chiamano ‘zingaro’. Per alleviare la sua tristezza, il ragazzino suona la fisarmonica, come aveva imparato a fare nel suo paese natale.
Intanto si innamora di una ragazza fiamminga, figlia del droghiere del paese, e forma una band, ‘Il Quintetto internazionale’. Ma il il padre è contrario alle sue aspirazioni artistiche, vuole per il figlio un lavoro che dia sicurezza economica. E così Rocco va a lavorare come meccanico, però di notte, all’insaputa del padre, continua a suonare con gli amici.  Un giorno, per fare colpo sulla ragazza che ama, compone una canzone alla quale dà il titolo di “Marina”, come il nome di una nota marca di sigarette che, per caso, nota su un poster pubblicitario. La canzone piace ad un produttore discografico che accetta di registrare un singolo, ma presto la situazione precipita: il disco non ha successo e la ragazza che ama è vittima di violenza, ed è proprio lui ad essere ingiustamente accusato del gesto. Alla fine Rocco viene scagionato, ma la ragazza viene costretta dalla famiglia a partire per gli Stati Uniti. Nel frattempo, crolla una galleria nella miniera in cui lavora il padre; l’uomo miracolosamente si salva, ma si ritrova all’improvviso senza lavoro ed invalido.
Il ritorno in Italia sia ormai inevitabile. Rocco – siamo nel 1959 – decide di fare un ultimo, disperato tentativo: fa stampare a sue spese 300 copie del disco, e lo mette nei jukebox dei dintorni. Questa volta la canzone ha un grande successo e diventa subito una hit non solo in Belgio, ma anche in tutta Europa e perfino negli Stati Uniti. ‘Marina’ è la “ragazza mora ma carina” che fa sognare i nostri emigranti. Il padre di Rocco diventa finalmente orgoglioso del figlio, mentre il giovane calabrese raggiunge la vetta dei 45 giri più venduti e una società discografica americana lo porta in tour in America, fino al mitico Carnegie Hall.
Questa è la storia di Rocco Granata, una tra le milioni di storie di emigranti che hanno conosciuto il vero dolore, ma anche il riscatto, trattati allo stesso modo di tanti ‘extracomunitari’ che oggi arrivano nell’opulento mondo occidentale.
Dalla storia di Rocco Granata è stato tratto un film, ‘Marina’, con Luigi Lo Cascio, ed in cui lo stesso Rocco è protagonista di un piccolo cameo nei panni del venditore della fisarmonica che renderà celebre il ragazzo. E’ un film commovente, bellissimo. Vi prego, se riuscite a trovarlo, guardatelo.


Re:Romanzo musicale
« Risposta #322 il: 31 Ago 2023, 22:48 »
Canzone famosissima, ma non conoscevo la sua storia.
Grazie Leo.

Offline RG-Lazio

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #323 il: 03 Set 2023, 11:43 »
Scusa RG e scusatemi tutti, ma è un momentaccio. Ho una scadenza e l'Operazione Delfino è un argomento complesso con pochissime fonti.

ma quali scuse  :D :beer: . Tutto oro quel che date. 
Re:Romanzo musicale
« Risposta #324 il: 05 Set 2023, 19:30 »
Chi di voi non ricorda Le Orme? Questo gruppo era nato a Marghera, periferia industriale di Venezia, negli anni ’60. I musicisti di questa band avevano scelto all’inizio di chiamarsi Le Ombre, in omaggio agli inglesi Shadows, ma poi cambiarono idea per evitare ironici doppi sensi (“ombra” in dialetto veneto significa anche “bicchiere di vino”). 
Le Orme iniziarono con la musica beat, poi nell'estate 1970 partirono con un furgone per assistere al festival dell'isola di Wight, e dopo quell'esperienza cambiarono letteralmente musica, incidendo Collage, considerato il primo disco rock progressivo italiano (cioè un rock influenzato da musica jazz, classica ed elettronica).
Le Orme, negli incandescenti anni '60-'70, vengono accusati di 'disimpegno' dalla parte più radicale dei 'critici rivoluzionari', ma in realtà assorbirono molte delle influenze ed inquietudini di quegli anni: basti pensare che i suoi quattro componenti originari, pur essendo cattolici, composero brani come La fabbricante d’angeli (contro la piaga dell’aborto clandestino, e quindi a favore di quello legalizzato) oppure Maggio (dove si parla della condizione operaia criticando la Chiesa di trascurare le tematiche sociali). Questo gruppo, inoltre, fu anche tra i primi ad occuparsi della questione ecologica con Cemento armato, una riflessione sulla condizione di vita nelle città italiane del post-boom economico.
Ma -quando ero regazzo- il brano de Le Orme che mi affascinò più di tutti fu Amico di ieri. Questa canzone, poetica e malinconica, fu registrata a Los Angeles, scritta ispirandosi al vento della California che una volta guidava i pionieri, mentre ora viene disprezzato dai moderni californiani perchè "toglie il sonno a chi riposa, sporca solo la città".
Ed ancora oggi, quando sono un po’ giù di corda, ascoltando Amico di ieri mi sembra di respirare il vento di libertà che accompagnava quegli “antichi pionieri” nel loro viaggio alla scoperta di nuovi confini e nuove realtà. E per qualche minuto mi sento più leggero, quasi felice.


Re:Romanzo musicale
« Risposta #325 il: 07 Set 2023, 11:03 »
Vincenzo (in arte Enzo) Jannacci può essere definito uno dei più eclettici e geniali artisti italiani. Compilare il suo curriculum non è facile: è stato cantautore, cabarettista, pianista, attore, sceneggiatore, e nel ‘tempo libero’ riuscì anche a laurearsi in Medicina (specializzandosi in Chirurgia nell'équipe di Christian Barnard, primo cardiochirurgo a realizzare un trapianto cardiaco).
Nato a Milano, il nonno era un immigrato macedone sbarcato in Puglia, mentre il padre partecipò alla Resistenza durante la seconda guerra mondiale.
La carriera artistica di Jannacci inizia nei locali milanesi col ruolo di cabarettista. Poi arriva la musica, ed Enzo lavora con Toni Dallara, Gaber e Celentano (con il gruppo del 'Molleggiato', i Rock Boys, partecipa anche al primo festival "Festival italiano di rock and roll", che si tiene nel 1957 al PalaGhiaccio di Milano).
Poi inizia la sua carriera da solista componendo pezzi demenziali come L'ombrello di mio fratello e Il cane con i capelli, ma in seguito comincia a spaziare in tutti i generi musicali: è il cantore del sottoproletariato milanese che vive ai margini della metropoli (Ei purtava i scarp del tennis, L'Armando), affronta il tema della Resistenza con di Sei minuti all'alba, fa un commovente affresco della realtà industriale con Vincenzina e la fabbrica, interpreta in modo magistrale Bartali di Paolo Conte, compone brani che diventano diventano celebri sigle televisive come E la vita, la vita e Quelli che…, e poi insieme a Dario Fo (che per la sua ‘follia artistica definisce Jannacci “Il genio del contropiede”) canta Ho visto un re, icona musicale del ’68.
Paradossalmente, però, il suo più grande successo commerciale è legato a quella che venne considerata una ‘canzoncina’ semplice ed orecchiabile, Vengo anch’io, la quale invece ci parla in modo poetico ed ironico di un tema impegnativo come l’emarginazione e l’esclusione sociale.
Infine, per quello che può interessare, la canzone di Jannacci che amo di più è Sfiorisci bel fiore, un brano che descrive in modo struggente il lavoro in miniera e il dramma della partenza per la guerra. La canzone è talmente bella che molti grandi artisti (Gigliola Cinquetti, Mina, Francesco De Gregori, Pierangelo Bertoli) ‘se la sono litigata’ per interpretarla. Ed io voglio proporre proprio la versione con la voce limpida e ‘tamugna’ di Bertoli.


Re:Romanzo musicale
« Risposta #326 il: 29 Set 2023, 21:50 »
Gli anni ’60, a livello musicale, significarono l’esplosione del rock, della canzone d’autore, dei canti di protesta. Ma quell’epoca segnò anche la riscoperta della musica folk. Questo genere musicale era stato ‘rimosso’ dalla nuova borghesia nata negli anni del boom economico, una borghesia che cercava di dimenticare le sue origini regionali e desiderosa di darsi una veste ‘rispettabile’ con l’utilizzo di una lingua italiana moderna e asettica.
Eppure, in Italia, la musica popolare aveva una antica e radicata tradizione che annoverava -tra gli altri- i canti polifonici dei camalli genovesi, le tarantelle del Gargano, i cori ‘a tenore’ sardi, le tamurriate, gli stornelli, i canti delle mondine, i componimenti religiosi.
La riscoperta di questa musica folk ha una data e un luogo precisi: il Festival dei Due Mondi a Spoleto del 1964, quando viene messo in scena Bella ciao, uno spettacolo corale con i migliori rappresentanti del folklore di tutte le nostre regioni.
Da quel momento, la musica popolare torna veramente ad essere ‘popolare’: nel 1967 nasce a Napoli la Nuova Compagnia di Canto Popolare di Peppe Barra ed Eugenio Bennato, sotto la supervisione di uno studioso e grande compositore come Roberto De Simone. La NCCP era portatrice di una visione ardita della musica napoletana, con ritmi nuovi e tribali allo stesso tempo. Il gruppo raggiunse un grande successo con Tamurriata nera, un pezzo scritto nel 1944 (con musiche di E.A. Mario, autore della Canzone del Piave), storia di una donna che mette al mondo un bimbo ‘nero’, concepito da un soldato durante l'occupazione americana. La NCCP ripropone la canzone con un arrangiamento ‘etnico’ e con la geniale aggiunta di strofe che ‘napoletanizzavano’ il brano Pistol Packin’ Mama del cantante country  Al Dexter (‘E levate 'a pistuldà uè / e levate 'a pistuldà, / e pisti pakin mama / e levate 'a pistuldà’).
Anche Roma dà il suo contributo alla riscoperta della musica popolare: nei primi anni ’70 nasce un gruppo folk, Il Canzoniere del Lazio, che vede la collaborazione di intellettuali come Alessandro Portelli, e sempre nella Capitale si afferma una cantante viscerale, incontenibile, capace di cantare senza filtri e mediazioni stilistiche: Gabriella Ferri, la quale col suo tono struggente e malinconico riesce a valorizzare e rinnovare la tradizione della canzone romana.
Dalla Puglia arriva invece il più ‘irregolare’ dei cantanti folk: Matteo Salvatore. E’ un semi-analfabeta di famiglia poverissima (padre facchino, madre finta mutilata per chiedere l’elemosina) che viene notato mentre canta in un ristorante dal regista Giuseppe De Santis, il quale lo incoraggia alla carriera musicale. 
Matteo Salvatore canta poveri e diseredati, braccianti e pescivendoli, e vive di prima persona il senso di riscatto presente nelle sue canzoni. I testi dei suoi brani incantano pure Italo Calvino il quale disse: "Le  parole di Salvatore dobbiamo ancora inventarle”.
Sarebbero ancora tanti i cantanti di musica folk che si dovrebbero citare, perché questo genere musicale rappresenta un patrimonio culturale ricchissimo, ed in gran parte ancora inesplorato, che ci riporta alle nostre radici, alla consapevolezza della nostra identità più remota. Ma, per intanto, ecco per noi…








Offline adiutrix

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #327 il: 10 Ott 2023, 17:59 »
Chi di voi non ricorda Le Orme? Questo gruppo era nato a Marghera, periferia industriale di Venezia, negli anni ’60. I musicisti di questa band avevano scelto all’inizio di chiamarsi Le Ombre, in omaggio agli inglesi Shadows, ma poi cambiarono idea per evitare ironici doppi sensi (“ombra” in dialetto veneto significa anche “bicchiere di vino”). 
Le Orme iniziarono con la musica beat, poi nell'estate 1970 partirono con un furgone per assistere al festival dell'isola di Wight, e dopo quell'esperienza cambiarono letteralmente musica, incidendo Collage, considerato il primo disco rock progressivo italiano (cioè un rock influenzato da musica jazz, classica ed elettronica).
Le Orme, negli incandescenti anni '60-'70, vengono accusati di 'disimpegno' dalla parte più radicale dei 'critici rivoluzionari', ma in realtà assorbirono molte delle influenze ed inquietudini di quegli anni: basti pensare che i suoi quattro componenti originari, pur essendo cattolici, composero brani come La fabbricante d’angeli (contro la piaga dell’aborto clandestino, e quindi a favore di quello legalizzato) oppure Maggio (dove si parla della condizione operaia criticando la Chiesa di trascurare le tematiche sociali). Questo gruppo, inoltre, fu anche tra i primi ad occuparsi della questione ecologica con Cemento armato, una riflessione sulla condizione di vita nelle città italiane del post-boom economico.
Ma -quando ero regazzo- il brano de Le Orme che mi affascinò più di tutti fu Amico di ieri. Questa canzone, poetica e malinconica, fu registrata a Los Angeles, scritta ispirandosi al vento della California che una volta guidava i pionieri, mentre ora viene disprezzato dai moderni californiani perchè "toglie il sonno a chi riposa, sporca solo la città".
Ed ancora oggi, quando sono un po’ giù di corda, ascoltando Amico di ieri mi sembra di respirare il vento di libertà che accompagnava quegli “antichi pionieri” nel loro viaggio alla scoperta di nuovi confini e nuove realtà. E per qualche minuto mi sento più leggero, quasi felice.



Le Orme, che grande gruppo.
Anche io ho le tue sensazioni quando ascolto "Amico di ieri", pezzo fantastico.
Ricordo con piacere anche la loro "Canzone d'amore", una bellissima poesia d'amore.
 ;)

Offline adiutrix

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #328 il: 10 Ott 2023, 18:05 »
Vincenzo (in arte Enzo) Jannacci può essere definito uno dei più eclettici e geniali artisti italiani. Compilare il suo curriculum non è facile: è stato cantautore, cabarettista, pianista, attore, sceneggiatore, e nel ‘tempo libero’ riuscì anche a laurearsi in Medicina (specializzandosi in Chirurgia nell'équipe di Christian Barnard, primo cardiochirurgo a realizzare un trapianto cardiaco).
Nato a Milano, il nonno era un immigrato macedone sbarcato in Puglia, mentre il padre partecipò alla Resistenza durante la seconda guerra mondiale.
La carriera artistica di Jannacci inizia nei locali milanesi col ruolo di cabarettista. Poi arriva la musica, ed Enzo lavora con Toni Dallara, Gaber e Celentano (con il gruppo del 'Molleggiato', i Rock Boys, partecipa anche al primo festival "Festival italiano di rock and roll", che si tiene nel 1957 al PalaGhiaccio di Milano).
Poi inizia la sua carriera da solista componendo pezzi demenziali come L'ombrello di mio fratello e Il cane con i capelli, ma in seguito comincia a spaziare in tutti i generi musicali: è il cantore del sottoproletariato milanese che vive ai margini della metropoli (Ei purtava i scarp del tennis, L'Armando), affronta il tema della Resistenza con di Sei minuti all'alba, fa un commovente affresco della realtà industriale con Vincenzina e la fabbrica, interpreta in modo magistrale Bartali di Paolo Conte, compone brani che diventano diventano celebri sigle televisive come E la vita, la vita e Quelli che…, e poi insieme a Dario Fo (che per la sua ‘follia artistica definisce Jannacci “Il genio del contropiede”) canta Ho visto un re, icona musicale del ’68.
Paradossalmente, però, il suo più grande successo commerciale è legato a quella che venne considerata una ‘canzoncina’ semplice ed orecchiabile, Vengo anch’io, la quale invece ci parla in modo poetico ed ironico di un tema impegnativo come l’emarginazione e l’esclusione sociale.
Infine, per quello che può interessare, la canzone di Jannacci che amo di più è Sfiorisci bel fiore, un brano che descrive in modo struggente il lavoro in miniera e il dramma della partenza per la guerra. La canzone è talmente bella che molti grandi artisti (Gigliola Cinquetti, Mina, Francesco De Gregori, Pierangelo Bertoli) ‘se la sono litigata’ per interpretarla. Ed io voglio proporre proprio la versione con la voce limpida e ‘tamugna’ di Bertoli.]




Sono particolarmente legato a una canzone di Jannacci, "Io e te". Credo sia una interpretazione che riguarda il rapporto padre e figlio. A me, quando l'ascolto, mi fa pensare i momenti che ho passato con mio figlio che cresceva ed io che cercavo di aiutarlo nella crescita...

Offline adiutrix

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #329 il: 10 Ott 2023, 18:31 »
e come non ricordare, sempre di Jannacci, "Mario".


Offline RG-Lazio

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #330 il: 19 Lug 2024, 10:15 »

Lo scorso anno, questo topic é stato una delle letture piú belle delle vacanze.

Non mi dispiacerebbe mi accompagnasse anche quest´anno  :D

Ovviamente mi rendo conto che l´avevate presa un pó troppo seriamente...avete fatto un lavoraccio, tra l´altro con uno stile di scrittura agevole, colto ma scorrevole. Tanta tanta roba.

Andrebbe bene anche una continuazione meno accurata...peró ecco in realtá andrebbe bene qualsiasi cosa  :) :beer:

Offline Fiammetta

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #331 il: 20 Nov 2024, 11:02 »
1966 – Quadro terzo, parte prima
Scusate l'estremo ritardo, ma questo è un casino in cui solo io potevo ficcarmi e qualche altro imbecille come me. La memoria però è un dono, soprattutto quando non è nostra perché non eravamo presenti. Perciò, in memoria di Luigi Cipriani, detto anche Marx (dalla foto capirete perché), che ha annotato la maggior parte delle informazioni reperibili sulla Operazione Delfino e in omaggio a sua moglie Michela Maffezzoni che, insieme ad altri compagni le ha pubblicate cercando un ordine quasi impossibile da trovare, cercherò di presentare l'argomento nel modo più logico possibile e vi garantisco che non è impresa da poco. Intanto, però, vorrei che conosceste Luigi Cipriani.
Di lui, qui nella foto

dirò che era figlio della classe operaia e ha difeso i lavoratori fino alla fine. Volevo scrivere solo due righe, invece è importante che soprattutto i più giovani, quelli che non hanno un'eredità politica particolare, capiscano che la politica degli anni '60 e '70, per molti di noi è nata in casa ed era sostanzialmente una questione di famiglia (che fosse di consenso o dissenso verso i nostri genitori e nonni); dalle case è tracimata nelle piazze. La biografia di Luigi è emblematica da questo punto di vista, perché ci sono quelli che ereditano una o più proprietà (che culo), ma nel mio segmento sociale, affollatissimo peraltro, noi ereditavamo esclusivamente una visione del mondo e quella, ve lo garantisco, è davvero difficile venderla, perché ci cresci, ti cammina accanto come la tua ombra, forma gli occhiali senza i quali la vista ti si appanna e non riconosci più la realtà. Erediti un modo di stare al mondo che potresti anche rinnegare, per carità, se sostanzialmente non dovessi anche rinnegare te stesso.
La introduco soltanto, perché è scritta davvero bene. Almeno per me la militanza è pura poesia. Buona lettura. Lo so è lunga, ma ne vale la pena.
Domani questa imbecille vi esporrà l'operazione Delfino.  :roll:
Nipote e figlio di socialisti meridionali e di mamma milanese, nacque nel 1940 in una bella casa popolare, dove trascorse l'infanzia. Frequentò la scuola da perito meccanico, cominciò a giocare a rugby, poi arrivò l'assunzione alla Pirelli Bicocca a diciannove anni. Per Luigi la fabbrica fu un trauma. Da qui, vi lascio alle parole di questo racconto a più voci (stralcerò diverse parti perché è lunghissima):
"Erano i primi anni sessanta e nelle aziende l'atmosfera era irrespirabile soprattutto per i giovani scolarizzati, meno propensi di quelli che li avevano preceduti ad accettare gerarchie e disciplina. Luigi, ventenne, la notte sognava in un incubo senza fine i capetti, i pranzi aziendali obbligatori per gli impiegati, i panettoni natalizi distribuiti dal caporeparto: un orribile panettone sghignazzante con la faccia di Leopoldo Pirelli lo inseguiva per costringerlo a dire "grazie". Fu ricoverato per esaurimento nervoso in una struttura ospedaliera condotta con metodi medievali dove dei medici che avrebbero fatto meglio ad occuparsi d'altro lo trattarono con dosi da cavallo di psicofarmaci provocandogli la distruzione delle cellule pancreatiche e una forma di diabete che diversamente non avrebbe mai avuto. Girerà al largo dai medici per tutta la vita. Allora superò la crisi grazie a un fisico e una reattività fuori dell'ordinario, buttandosi a capofitto nel rugby: un modo razionale, scientifico, di dominare la propria inquietudine. Giocava ed era bravissimo nella squadra milanese Sempione che mieteva successi sotto la guida del conte Cacciadominioni, un aristocratico eccentrico e mecenate che Luigi ricorderà spesso come l'unica persona cui abbia mai obbedito. Dopo qualche anno però i successi che l'avevano portato a giocare in nazionale non bastarono più a fargli dimenticare l'inferno della fabbrica dove lui, come cronometrista, doveva misurare i tempi agli operai. Ancora l'angoscia, ancora gli incubi. Quella volta lui ne uscì per sempre leggendosi, nelle notti senza sonno, Il capitale di Carlo Marx. Tutto, senza perdersi una riga: ci trovava la sua strada analizzando, insieme alla storia, le cause della propria angoscia, che si ricollegava così chiaramente all'alienazione della sua classe. Io credo, anche se non ero ancora con lui, che in quella lunga crisi, e nel suo modo singolare di superarla, Luigi diventò veramente se stesso, quell'affascinante insieme di razionalità e umanità che l'ha reso così unico. Capirà sempre che il riscatto di classe non può essere pensato che insieme al vissuto della gente, capirà il "partire da sè" delle donne, così ostico a tanti compagni, l'angoscia e la ribellione esistenziale dei giovani e di chiunque.
Era allora il sessantotto della rivolta antiautoritaria che dilagava dalle scuole nelle fabbriche anche grazie all'ingresso massiccio, dovuto a una congiuntura favorevole, di operai e tecnici giovani, acculturati e muniti di spirito critico nei confronti dei valori dominanti. Alla Bicocca come in altre fabbriche questi nuovi operai e tecnici incontravano altri operai, altri quadri, militanti del PCI e del sindacato che andavano maturando posizioni critiche nei confronti delle loro organizzazioni. Da quell'incontro nacque nel 1968 il CUB Pirelli, subito dopo la firma di un contratto nazionale del settore gomma estremamente al ribasso, che non recepiva le istanze dei lavoratori.
Del CUB Pirelli e della parte che vi ebbe Luigi, parla Carlo Rutigliano, anche lui operaio della Bicocca e protagonista delle lotte di quegli anni (...)
Il CUB - spiega Carlo - sviluppava un intervento costante che partiva dai temi di più immediato interesse per i lavoratori come il salario, il cottimo e le qualifiche e giungeva a una critica complessiva dell'organizzazione del lavoro in tutti i suoi aspetti, dai rapporti gerarchici alla nocività; rivendicava la partecipazione diretta dei lavoratori attraverso i gruppi omogenei e i delegati di reparto. Cip entrò nel CUB l'anno successivo, immediatamente con un ruolo dirigente. Sviluppava un'analisi precisa, continua e i suoi interventi lasciavano di solito senza parole, perchè erano così profondi che restava poco da dire. Sapeva collegare e prevedere le mosse del padrone con una precisione impressionante. In lui ho sempre notato due atteggiamenti, uno di estrema disponibilità verso i lavoratori con cui dialogava, uno molto più esigente rispetto ai compagni "addetti ai lavori". Poco incline ai compromessi, schietto sulle cose da dire -chi gli era antipatico gli era antipatico, e basta- aveva un'umanità, una presa sui lavoratori unica, anche se c'erano in fabbrica e nel CUB compagni altrettanto preparati e di pari valore come Mario Mosca, De Mori, Salvatore Ledda. A quel tempo, Cip lavorava nell'officina centrale e si occupava di tempi e metodi. Ma più che organizzare i tempi del padrone, organizzava gli scioperi. In quel reparto, 250 persone almeno, erano confluiti molti giovani che avevano fatto la scuola aziendale, intitolata a Piero Pirelli. Nelle intenzioni dei dirigenti chi usciva di lì doveva avere chiaro come il padrone intendeva organizzare il lavoro in fabbrica: ma, dati i tempi, l'istituto sfornava soprattutto giovani tecnici desiderosi di usare le conoscenze acquisite per contrastare l'ideologia padronale. In officina, passavano sotto le "istruzioni" di Cip che faceva il resto, fornendo loro strumenti politici, teorici e pratici. Visti i risultati, l'istituto venne chiuso per diversi anni. Quando fu eletto il consiglio di fabbrica, la sinistra rivoluzionaria vi portò più di quaranta compagni, fra quelli di Lotta continua e del CUB su un totale di cento e fra essi, naturalmente, c'era Cip. Questo fatto gli diede anche una copertura rispetto alle immancabili rappresaglie.
Fra le varie denunce che si prese dalla direzione aziendale ne ricordo una per istigazione a delinquere, violenza privata, a causa di un picchetto "duro" come si diceva allora (di quelli cioè dove gli scioperanti entrano nei reparti e cercano di convincere, magari senza troppa cortesia, i crumiri ad uscire). Di violenza proprio non ce n'era stata ma con la sua sola presenza -diceva l'atto d'accusa- Cipriani eccitava gli animi alla rivolta e alla distruzione. Fortunatamente quelli erano tempi in cui le rappresaglie, anzichè intimorire, sortivano l'effetto opposto: alle udienze in tribunale si presentavano centinaia di persone, si organizzava la mobilitazione in fabbrica, si imponeva il ritiro delle denunce e così avvenne in quel caso. La direzione cambiò tattica e gli assegnò un pressochè inesistente lavoro d'ufficio per impedirgli di girare nei reparti ad "eccitare" gli operai. Venne chiuso in una specie di gabbiotto di vetro, guardato a vista dal caporeparto. A Cip bastava però un attimo di disattenzione  per sfuggirgli. Quando non ce la faceva, utilizzava il tempo scrivendo volantini o usando il telefono interno per scopi non proprio aziendali. Aveva anche una sua rete di "talpe" negli uffici della direzione, segretarie o impiegati che senza scoprirsi lo informavano in anticipo delle mosse del padrone. Come molti altri compagni dei Comitati di base, Cip aveva aderito ad Avanguardia operaia, l'organizzazione della sinistra rivoluzionaria che sviluppava l'intervento più penetrante nelle fabbriche. (...) Quelli erano anni di militanza piena e c'erano tante lotte, tante situazioni da sostenere. Quando non bastava il giorno c'era la notte. Delle "notti militanti" di lotta, ma anche di festa, sono rimaste memorabili quelle della Crouzet, un'azienda di sole donne sita allora in via Valcava a Milano, che il padrone voleva trasferire a Bergamo. La Crouzet era diventata una bandiera per i Comitati di base e per Avanguardia operaia che sostenevano una battaglia forte contro i primi casi di deindustrializzazione della città -racconta Guido Visco, altro dirigente operaio "storico" espresso dal movimento dei CUB. Furono due anni di lotta dura, in cui costringemmo anche parte delle organizzazioni sindacali ad appoggiarci e che si concluse con una parziale vittoria: la fabbrica venne trasferita sì ma a Bollate e si ottennero adeguati trasporti per garantire la permanenza delle lavoratrici allora occupate. Nell'ultimo periodo -era il '72 o il '73- per mettere in difficoltà la multinazionale organizzammo un presidio continuo, notti e domeniche comprese. Le lavoratrici non potevano farcela da sole e i compagni di AO, a turno, sostenevano il presidio. La presenza di Cip era una garanzia che da quell'impegno non sgarrasse nessuno, e faceva sentire più sicuri se interveniva la polizia a sgombrare. (...)
Nel '76 Luigi si licenziò dalla Pirelli per diventare funzionario a tempo pieno di AO (poi di DP, che nacque nel '78 dall'unificazione col Pdup e con altre frange della sinistra rivoluzionaria). La cosa fu contrastata in fabbrica dai compagni, che lo consideravano indispensabile. Cip non la pensava così: era convinto che, allontanandosi dalla fabbrica, gli altri, abituati a delegargli le cose più importanti, si sarebbero responsabilizzati maggiormente.
Cip funzionario è raccontato da Patrizia Arnaboldi, anche lei della direzione nazionale di DP. Patrizia veniva dal Pdup. La maggior parte del suo lavoro andò sprecata. Pesavano, sui lavoratori e sui compagni, le difficoltà indotte dalla deindustrializzazione e dall'attacco politico al movimento operaio, il generale decadimento culturale di quegli anni, pesavano le incertezze di un piccolo partito che, nonostante l'impegno di tanti bravi compagni, non andava molto al di là del "gruppo di resistenza". L'amarezza di Luigi aumentava, insieme alla convinzione di lavorare per niente, e alla sfiducia nei confronti del gruppo dirigente di DP. (...) Ma per i "suoi" operai nascondeva l'amarezza e riusciva a comunicare entusiasmo e voglia di fare. Nelle iniziative pubbliche, era sempre quello di prima: sapeva dare conoscenze e insieme certezza nell'iniziativa politica, trascinava la gente. Ricordo fra le altre un'assemblea sindacale a Milano, era l'85 o l'86, dove ha letteralmente "stracciato" un oratore del PSI che cercava di dimostrare come le lotte per la difesa del posto di lavoro, e certe posizioni classiste fossero superate, che i lavoratori in nome del progresso avrebbero dovuto guardare più lontano. Dopo un'analisi incalzante, con la quale dimostrò i guasti della politica di speculazione finanziaria dei grandi gruppi - il "progresso" craxiano - gli ha ricordato che gli operai hanno la brutta abitudine di mangiare, pagare l'affitto, talvolta di fare figli. " La gente rideva, applaudiva, i "modernisti" stavano zitti.
Per consolarlo delle delusioni politiche, i rari giorni in cui era libero cercavo di trascinarlo via da Milano. (…) Andavamo più spesso in Toscana, perchè lui amava particolarmente la pittura italiana del Trecento e, a Siena o Firenze, passava ore a contemplarsela. "Ti sei dato alla spiritualità?", lo prese in giro un compagno che avevamo incontrato una volta, per caso, davanti alla Maestà di Duccio, a Siena. "Sono un materialista storico, non un materialista stupido". Luigi aveva gusti raffinatissimi e sapeva dipingere. Ma non ne aveva mai il tempo.
Continua...

Offline Fiammetta

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #332 il: 20 Nov 2024, 11:03 »
... Segue
Con le elezioni del 1987, DP portò in Parlamento otto deputati e fra di essi Cip e Patrizia Arnaboldi, eletti a Milano: lui uscì grazie ai voti della cintura operaia, in particolare di Sesto.
Lui detestava quell'atmosfera di aria fritta, i dibattiti farraginosi e inutili perchè le sedi decisionali sono altrove, lontane dal Parlamento, i giochi già fatti. Non perdeva però occasione di sfruttare i pochi spazi disponibili ad un parlamentare di opposizione: il lavoro di commissione, per la possibilità di attingere dati, talvolta di incidere; le interrogazioni, più che per le risposte del governo, che tardano mesi e di solito dicono poco, perchè permettono di portare i problemi a conoscenza del pubblico e di aggirare il silenzio-stampa; gli incontri con le delegazioni, per disintossicarsi dall'aria pesante dell'aula e parlare con gente vera di problemi veri. (...)
Ci fu la famosa "Filosofiat" -la contestazione della marcia su Milano degli Agnelli- che ebbe inizio una sera del novembre 1987 in una piazza Duomo stracolma per manifestare solidarietà ai licenziati dell'Alfa, da poco acquisita da Fiat. Anima politica della serata, Luigi, neoeletto di Dp, insieme ai compagni della fabbrica e agli artisti di sempre: Paolo Rossi, Dario Fo, Enzo Iannacci, Fabio Treves; mentre in un Palatrussardi addobbatissimo la Fiat presentava la nuova vettura Alfa, col supporto di uomini di spettacolo attratti dal fascino dei vincenti: due Milano incomunicabili.
Arnaldo ricorda invece, di quel periodo, il supporto dato da Cip, insieme ai compagni di Genova, alle lotte dei portuali. Aveva compreso l'importanza di quella lotta per l'autogestione operaia e contro la privatizzazione delle attività marittime.
Il consiglio dei delegati del Perro Negro organizzò un convegno sulla piattaforma occupata, che venne disertato dal sindacato ufficiale. In quel bellissimo intervento in mezzo al mare Luigi denunciò la politica di privatizzazione selvaggia delle partecipazioni statali, il risanamento dell'Eni scaricato interamente sulla pelle dei lavoratori italiani e stranieri a prezzo di licenziamenti ed insostenibili condizioni di lavoro, e sul denaro pubblico; la vendita di barche ad Ortona coi marittimi incorporati ('un nuovo mercato degli schiavi'), la politica energetica inquinante e fallimentare basata sul petrolio e sul carbone comperato dal Sudafrica. E ancora, le connivenze dell'Agip coi mafiosi in Sicilia, gli affari dell'Eni con Gelli in Argentina; per poi indicare, al solito, delle strade concretamente percorribili per salvaguardare l'occupazione, la salute dei lavoratori e l'ambiente: la riconversione della chimica di base, nuove politiche energetiche basate sul metano e la geotermia.
In quel periodo Cip era infaticabile: andò a Caorso, a Montalto di Castro, alla Farmoplant, ovunque i compagni lo chiamassero, nei limiti del possibile e oltre, perchè la salute cominciava a dargli problemi. Lo chiamavano nelle situazioni più difficili, nelle fabbriche occupate quando c'era pericolo di un intervento della polizia. Si prese diverse denunce: per diffamazione, per blocco stradale, una per invasione di stabilimento (se non ricordo male, dalla Fiat). Causa sfratto, ci eravamo nel frattempo trasferiti a Cremona. Anche qui, Luigi animò diverse iniziative di DP. Una di esse, insieme ai compagni di Autonomia, fu la lotta contro la costruzione della "Arvedi due", una mega-acciaieria di seconda fusione altamente inquinante. Per il contributo di Cip, quella che sarebbe stata una delle tante lotte di sapore locale acquistò un impatto diverso. Si documentò, oltre al grosso danno ambientale dell'impianto per la ricaduta di metalli pesanti attraverso polveri e fumi, il suo costo in termini di spesa pubblica e di occupazione: la licenza ad Arvedi aveva come contropartita la chiusura dell'acciaieria di Bagnoli, modernissima e costata centinaia di miliardi, che faceva la stessa produzione di coils in acciaio. Cremona è una città semiaddormentata, dove il cavalier Arvedi, potente satellite di Agnelli, la fa un po' da padrone delle ferriere: la sua faccia soddisfatta dell' "uomo fatto da sè" compare in tutte le salse, a cominciare dalla stampa locale di sua proprietà. L'insolito risveglio di coscienze preoccupò il cavaliere che, attraverso un suo uomo, tentò di avvicinare Luigi proponendogli un incontro a quattr'occhi. "Dica al cavaliere che mi venga a rispondere in assemblea, in privato dò appuntamento solo alle belle donne", rispose lui lasciando sconcertato l'interlocutore. A Cremona quasi tutti sono educati, avvezzi alle cosiddette buone maniere e all'obbedienza verso i potenti, sicchè queste cose fanno scalpore. Il risultato di tutto ciò fu una denuncia per diffusione di notizie false e tendenziose e disturbo all'ordine pubblico, diretta anche ad alcuni di noi, che Luigi si accollò per intero andando ad autodenunciarsi come l'estensore del materiale di propaganda che avevamo diffuso. Sempre a Cremona Cip si prese una denuncia persino per un'interrogazione parlamentare, che sollevava il problema di ingiustificati esborsi di denaro chiesti da una struttura ospedaliera ai degenti, per servizi illegalmente appaltati ai privati ma di competenza dello Stato. La denuncia, che proveniva dallo staff dell'Usl, appena cessato il mandato parlamentare venne accolta dal procuratore della Repubblica, che lo rinviò a giudizio: caso unico nella storia del nostro paese e pare di tutta l'Europa occidentale dove, per norma costituzionale, gli atti parlamentari sono sottratti al sindacato della magistratura. Il "distratto" procuratore se ne avvide quando ormai la gente, intimorita, si era rassegnata a pagare.
Per tutta la durata della legislatura Luigi partecipò ai lavori della commissione bilancio. Preparò fra l'altro una relazione di minoranza alla finanziaria '88-89, nella quale documentava la redistribuzione di ricchezza verso le imprese e i percettori di rendite, il bluff dell'offensiva contro evasori ed elusori, il costo sociale della manovra per i lavoratori e le categorie disagiate, l'aggravamento dei deficit strutturali, dei problemi della produzione, dei trasporti, dell'agricoltura. Sperava che il partito avrebbe utilizzato questo grosso lavoro, costato mesi, per colmare il vuoto di proposta politica che permaneva, nonostante l'attivismo e la presenza nelle lotte. Non andò così: "troppo difficile per la comprensione dei compagni", gli fece sapere la segreteria nazionale. Non ci ricavarono neppure un volantino. Come si infuriò!
Forse fu quella l'ultima volta che Luigi si arrabbiò con DP. Non abbandonò il partito -che era d'altronde oramai giunto al capolinea- ma perse ogni residua fiducia. Nè, più tardi, aderì a Rifondazione comunista, come invece gran parte dei compagni rimasti in DP dopo la scissione degli Arcobaleno: ci vedeva una continuazione del PCI, la preponderanza dell'apparato, la mancanza di una proposta politica adeguata ai tempi e di una revisione degli errori della sinistra, persa nella "adorazione dello stato" e delle sue istituzioni.
Non tutti i compagni hanno compreso questo passaggio di Luigi: abituati al "Cip missionario" con un ruolo sempre e comunque propositivo anche nell'organizzazione, non hanno capito il Cip sfiduciato e ipercritico degli ultimi anni.
"Un intellettuale, un parlamentare può anche fare a meno del partito, un operaio no -dice per esempio Guido Visco- per gli operai il partito è una necessità. Se è sgangherato bisogna darsi da fare per raddrizzarlo, da soli non si fa nulla". Altri invece lo hanno capito e visto nella sua parabola politica una dimostrazione della sua coerenza. (…)
A metà legislatura venne istituita la Commissione parlamentare stragi, nella quale Luigi si inserì dall'inizio e fu attivissimo. Non era solo l'amore di giustizia a fargli cercare le verità celate dietro tanti delitti impuniti, ma anche la consapevolezza, maturata in vent'anni di ricerca politica, dell'esistenza di un potere reale, ben più forte di quello emergente dai meccanismi della democrazia parlamentare: un potere oligarchico, arrogante, intrecciato a quello criminale come a quello statuale, operante senza alcun vincolo, che era stato in grado di assestare una sconfitta decisiva al movimento operaio. Era la coscienza dell'inutilità di tante battaglie della sinistra, tutte giocate sul terreno istituzionale e formale e della necessità per contro di studiare questo potere reale, per capirne i piani e le alleanze e quindi saperlo combattere, per aprire nuovi spazi di azione politica. Nell'attività compiuta per la Commissione Luigi trovò ulteriori conferme alle ipotesi della sinistra rivoluzionaria: da tutta la vicenda Stay behind alle strutture di militari e civili reclutati a migliaia in funzione anticomunista e contro i movimenti, dirette dai capi dei servizi e ben note alle massime cariche dello stato, agli intrecci tra poteri forti -massoneria, mafia, istituzioni economiche- stato e partiti. Fu la fedeltà assoluta alle sue chiavi di lettura del potere il motivo più forte della impossibilità, per Cip, di aderire ad un partito che riteneva ancora stalinista e incapace di superare la cultura filoistituzionale.
Umberto Gay, forse il più amato dei suoi ex "discepoli", giornalista di Radio popolare e oggi consigliere comunale di Rifondazione, dice di aver imparato da Cip soprattutto una cosa: il metodo che ispirava quella ricerca sul potere.
(…)Tanti hanno detto che Luigi aveva un brutto carattere, che era ipercritico e perennemente insoddisfatto. Ma se brutto carattere vuol dire manifestare con assoluta sincerità la propria insoddisfazione verso non solo il nemico, o l'esistente, ma anche verso i propri fratelli, le persone più vicine che si comportano in modo che tu non ritieni adeguato ai problemi del mondo, della gente, degli oppressi, mi mancherà tanto quel suo brutto carattere.
Quel "brutto carattere", nel senso che ha appena spiegato Umberto è costato a Luigi, specie negli ultimi anni, l'isolamento anche nella sua area politica. Non che i compagni avessero smesso tutti di volergli bene, anzi. Credo si fosse creato intorno a lui una sorta di cordone sanitario, di difesa, per una legge direi fisiologica, propria di ogni apparato. Non credeva più al partito, poneva continuamente problemi, voleva si discutesse di cose che non fruttano nè pubblicità sui giornali nè risultati elettorali. (…)
Su tutto quello che faceva Cip, persino sul suo nome, il silenzio-stampa era quasi totale. Nessun canale televisivo l'ha mai ospitato, capitava anzi che le sue intuizioni venissero attribuite ad altri: come se i direttori di testata si fossero accordati per censurarlo.
Lui non se ne curava granchè; ebbe diverse minacce anonime, delle quali si curò ancor meno. Rischiare sembrava divertirlo: vuol dire che do fastidio per davvero, diceva. Era di un'audacia assoluta. Quando in Commissione si cominciò a discutere -per l'insistenza sua e di altri parlamentari di opposizione- del caso Moro, ebbe un incidente un po' sospetto: fu investito, nei pressi di Montecitorio, da due giovani in moto che non si fermarono a soccorrerlo. Se la cavò con una frattura a una gamba e un'ingessatura (avrebbe però potuto finire peggio, se non avesse avuto la forza di spingere di lato la moto in corsa) che lo tenne lontano da Roma per quasi due mesi. A me, ai compagni che si preoccuparono della possibilità di un attentato rispondeva minimizzando "a Roma c'è traffico"; di prendere qualche precauzione, magari solo rafforzare la serratura di casa, non voleva neanche sentir parlare. La sua assenza da Roma fu invece usata da Enzo Biagi in una trasmissione televisiva che lo segnalava per assenteismo: guarda caso quella cosiddetta statistica era stata fatta -oltre che soltanto sulle presenze in aula, che sono la parte minore del lavoro parlamentare- proprio in quei mesi: alla sua richiesta di smentita venne dato uno spazio ridicolo, che scomparve del tutto nella replica della trasmissione. Luigi liquidò la cosa con un "povero servo" e non se ne curò più. (…)
In quegli stessi giorni, Luigi stava facendo i suoi nuovi progetti: scrivere un libro sulla vicenda Moro - sarebbe stato il suo primo libro, quando era "militante" non aveva molto tempo per scrivere - poi un secondo sugli intrecci massoneria-stato e, sulla base della fortuna di quei volumi costituire a Milano un centro studi che approfondisse la ricerca sul potere. Progetti anch'essi impegnativi ma da portare avanti senza fretta, che gli consentivano finalmente di pensare anche un po' a se stesso. Si era rimesso a dipingere.
La tranquillità non rientrava nel suo karma. Se n'è andato in due minuti per un infarto improvviso, stroncante. Era il 5 settembre 1992.

Offline cartesio

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #333 il: 20 Nov 2024, 22:42 »
Su Cipriani si può anche leggere questo:

http://fondazionecipriani.it/home/

La storia di Luigi Cipriani

Raccontata dalla moglie Michela e altri compagni

[...]


È un sito interessante, merita un po' di tempo.

Offline Fiammetta

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #334 il: 21 Nov 2024, 09:39 »
Su Cipriani c'è da leggere sostanzialmente quello che c'è scritto sul sito della fondazione, da me stralciato e riportato qui. Sì, è un sito molto interessante e lo conosco da anni. Sono proprio i suoi appunti che mi hanno dato l'idea di parlare dell'Operazione.
Grazie di aver inserito il link, lo avrei messo a fine quadro.

Offline RG-Lazio

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #335 il: 21 Nov 2024, 09:59 »
Grazie mille Fiammetta

Bellissima storia... confesso che mi prendeno una nostalgia e una tristezza abissali quendo leggo queste storia. Sembrano quasi impossibili nel reale...Personaggi come Cip sembrano letteralmente extraterrestri

Tra l´altro, trovo dannatamente interessante il suo costruirsi una cultura filosofica, sociologica e politica nel e contro il lavoro di fabbrica. Lui si legge Marx la notte (ah proposito é praticamente il clone) con un diploma e 40/50 ore di fabbrica...noi ci guardiamo Netflix e postiamo su Istagram. Di cosa stiamo parlando??

Provo davvero tanta vergogna per la mia vita piccolo-borghese.

Storicamente penso che la finestra anni 60-70 sia sta un´occasione persa. Una batosta con conseguenze storico-culturali profonde e negative. Non so se si riamprirá mai e poi mai una tale finestra (non per me classe 82). Ormai spero nella generazione di mio figlio. Che possano avere la forza di aprire tale finistra...noi l´abbiamo murata proprio.

Hasta la victoria compagno Cip   

Offline Fiammetta

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #336 il: 21 Nov 2024, 14:44 »
Di niente, per me è un privilegio parlare del Cip. Ce n'erano tanti, il Capitale era la bibbia dei lavoratori e degli studenti. Non ho più conosciuto una generazione così massicciamente acculturata sulle dinamiche economiche, sociali e politiche come quella precedente e come la mia generazione.
Re:Romanzo musicale
« Risposta #337 il: 21 Nov 2024, 15:07 »
Bellissima storia che non conoscevo quella di Cipriani. Ai tempi ho frequentato gente di DP ed avevano fama di essere molto preparati. Un vecchio compagno del PCI poi transitato in Rifondazione comunista mi raccontò di un presidente di seggio elettorale un po' arrogante che interrogava i rappresentanti di lista sul simbolo del proprio partito, che quasi nessuno sapeva descrivere con esattezza, finché arrivò al rappresentante di DP che disse senza esitazione "Il nostro simbolo è un pugno chiuso sovrapposto a una falce martello e stella inscritto in un globo con quattro meridiani e cinque paralleli", zittendolo sul colpo.
Poi devo dire citando Ivan Graziani: sì ma, sì ma, tutto questo cosa c'entra con il rock and roll?  :beer:

Offline Fiammetta

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #338 il: 21 Nov 2024, 19:38 »
 :))
Loro sono parte integrante del rock.
Leo sta tacendo da un bel po', spero torni a scrivere. Nel frattempo cerco di finire ciò che mi ero ripromessa di scrivere. Soprattutto perché spero Quintino integri con i suoi ricordi la lunga pagina dedicata a Paolo Rossi.
Credevo di riuscire a completare il quadro oggi, ma devo rimandare. Vi auguro buona serata.

Offline Fiammetta

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Re:Romanzo musicale
« Risposta #339 il: 22 Nov 2024, 12:27 »
1966 – Quadro terzo, parte seconda
Operazione Delfino e altre storie
Questa vicenda parte molto prima di verificarsi come tutte le storie. Ho deciso di raccontarla a modo mio, perché non ne conosco altri innanzitutto, ma anche perché alcuni fatti che sono assai rilevanti non vengono giustamente riportati nelle storia dell’Operazione Delfino (che è un puro casino di suo). Questa è una (da più storici indicata come l’inizio della “strategia della tensione”) ed è del gennaio del 1966; è denominata “Operazione dei manifesti cinesi”:
I militanti di Avanguardia nazionale (movimento fascista e golpista, fondato da Stefano delle Chiaie, lo stesso che fa parte del gruppo di fascisti responsabile dell’omicidio di Paolo Rossi) affiggono, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio nelle provincia di Firenze, Pistoia e Livorno, poi anche a Roma, Milano e Mestre, i cosiddetti manifesti cinesi, falsi manifesti firmati dal movimento marxista-leninista (inneggianti a Mao Tse-tung e a Stalin, i quali annunciano l’imminente fondazione di un nuovo Partito comunista maoista contrapposto al PCI), per conto della divisione Affari riservati del ministero degli Interni, su incarico del direttore della rivista “Il Borghese” (fondata nel 1950, è la rivista simbolo delle destre italiane, finanziata dall’industriale Giovanni Monti, cofondatore della casa editrice Longanesi) Mario Tedeschi. Quest’ultimo merita almeno un paio di righe. Romano nato nel 1924, esordisce nel giornalismo sulle colonne del settimanale Roma fascista. Nel 1943 si arruola nella flottiglia MAS e nel 1944 viene decorato con la croce di guerra. Finito il conflitto, torna a Roma e partecipa ai primi movimenti neofascisti; nel contempo entra nel FAR (Fascisti di azione rivoluzionaria) e il 31 ottobre del 1946, partecipa all’attentato all’ambasciata britannica nella capitale. Nel giugno del 1950 comincia a scrivere per il Borghese, diretto da Leo Longanesi. Nel 1954 è nominato responsabile dell’ufficio romano del settimanale e alla morte di Longanesi ne diviene direttore. Scusate la digressione, ma conoscere brevemente i personaggi è sempre un plus.
Tornando alla Divisione Affari riservati, essa è il servizio segreto civile, cioè l’Ufficio Affari Riservati (UAR) di Federico Umberto D’Amato (detto anche “l’uomo delle stragi di Stato”, ma di lui ho già avuto modo di scrivere, almeno così mi pare. Questo galantuomo è stato insignito della Bronze Star, onorificenza della Cia, della Legion d’onore francese e nominato Grand’Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana) che ispira l’operazione di “infiltrazione” negli ambienti marxisti-leninisti italiani utilizzando uomini della destra neofascista. A proposito di infiltrazione, in una inquietante intervista del 23 ottobre 2008, Cossiga dice ad Andrea Cangini del “Giorno/Resto/Nazione” che «Maroni [all’epoca ministro] dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno, in primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito […] Gli universitari, invece, lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano […] Questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio.»
https://www.storiastoriepn.it/gennaio-1966-in-italia-e-in-friuli/
(Francesco Cossiga, presidente della Repubblica, giurista, costituzionalista e militare, il più giovane ministro della Difesa e dell’Interno, lo stesso che chiese ai giovani "di amare la patria, di onorare la nazione, di servire la Repubblica, di credere nella libertà e di credere nel nostro paese")
Tornando a noi, i rapporti conflittuali all’interno dei servizi di intelligence italiani in quel 1966 sono particolarmente infuocati, al punto da portare ad una ristrutturazione a metà anno con il cambiamento del nome da Sifar a Sid. Un esempio di tali conflitti si ha proprio a gennaio, quando Pino Rauti, Guido Giannettini ed Eggardo Beltrametti, tutti e tre presenti al famoso convegno dell’istituto Pollio sulla guerra rivoluzionaria del maggio 1965, pubblicano Le mani rosse sulle forze armate (per chi è interessato, ecco il link https://ia800900.us.archive.org/9/items/LeManiRosseSulleForzeArmate/Le%20mani%20rosse%20sulle%20Forze%20Armate_text.pdf) , scritto quasi certamente su commissione del generale Aloia, capo di stato maggiore della difesa, e contenente un attacco neanche molto velato al generale De Lorenzo, responsabile del piano Solo. Si vanno addensando nel frattempo le ombre sui cosiddetti schedari del Sifar. Il 30 gennaio la rivista l’Astrolabio (fondato nel 1963 da Ernesto Rossi e Ferruccio Parri) pubblica un trafiletto dal titolo Sifar e Generali, nel quale si parla del “multiforme uso dei dossier”. Dalle sede centrale del SIFAR parte l’ordine per i propri agenti di acquistare tutte le copie in vendita che viene eseguito nelle successive 24 ore. Il silenzio non dura a lungo. L’anno seguente, prima Parri in Parlamento e poi Scalfari e Jannuzzi sull’ “Espresso” portano allo scoperto le malefatte del servizio segreto. Spendo giusto due parole sui fascicoli del Sifar, raccolti durante la gestione del generale De Lorenzo: stimati in decine di migliaia, altro non sono che schedature di molte personalità italiane. L’articolo che segue è apparso alle pagine 2-4 del numero 12 di Op uscito il 27 marzo 1979, una settimana dopo l’assassinio del suo direttore, Mino Pecorelli. Riporto solo qualche stralcio, ovviamente.
“Alle ore 8,30 del nove agosto millenovecentosettantaquattro, un piccolo corteo di auto superava i cancelli del comprensorio militare di Forte Braschi per fermarsi davanti all’ingresso della palazzina n. 4, sede del famoso Ufficio D del Sid. (…)

Una volta entrati nel sancta sanctorum dei «servizi», la mattina del 9 agosto ’74 a Guadalupi e compagni si presentò uno spettacolo che fece sbarrare loro gli occhi: depositati in dieci armadi corazzati, 364 raccoglitori contenenti 16.884 fascicoli intestati a singole persone, 7.458 atti non nominativi e 68 pacchi sigillati contenenti minute più in disparte, quasi in secondo piano, altri 230 raccoglitori con 16.208 fascicoli intestati, per un totale di 33.092 schede personali. Nello stesso locale la mappa dello schedario: un elenco nominativo relativo al settore politico-sindacale; un secondo elenco di «settori vari» diviso in due grandi gruppi (dalla lettera A alla E il primo, dalla L alla Z l’altro) con tre settori-bis di aggiornamento, rispettivamente relativi ad informazioni dalla lettera A alla E, dalla F alla O e dalla P alla Z.
Garavelli e Guadalupi si guardano fissi, poi, quasi all’unisono, fanno un passo avanti: hanno messo mano nel male oscuro che da anni infetta il sistema politico della penisola; hanno davanti gli atti relativi al famoso «Piano Solo», baubau della democrazia in Italia e il materiale informativo cui si è, a ragione o a torto da sempre attribuito il malefico potere di condizionare partiti ed uomini politici. Presto tutto finito. Il paese dovrà rendergliene merito: la vita politica procederà più spedita e più efficiente. Con fare deciso i due parlamentari effettuano alcuni controlli a caso sulle prime schede che gli capitano davanti. Basta un’occhiata per verificare la rispondenza tra i 33.092 numeri di riferimento e i relativi fascicoli. A quel punto prende la parola l’amm. Casardi che comunica in forma ufficiale che quella che si sta esaminando è proprio la documentazione che esorbitando dai suoi limiti istituzionali, il Sifar raccolse nel decennio ’56-’66, nei riguardi di persone appartenenti all’ambiente politico, economico, militare ed ecclesiastico. Detta documentazione era stata già esaminata fascicolo per fascicolo dalla commissione ministeriale presieduta dal generale di corpo d’armata Aldo Beolchini, che ne aveva proposto la distruzione. In attesa della quale, era stata «congelata», cioè isolata e inutilizzata nel luogo e nel modo che erano stati appena visti. (…)
Avrete compreso che in tutta questa vicenda c’è qualcosa che non quadra. Innanzitutto il numero dei fascicoli: 38.000 secondo alcuni, 34.000 per Andreotti, 33.092 quelli rinvenuti e distrutti da Guadalupi a Forte Braschi. Potremmo attribuire la discrepanza ad un semplice arrotondamento (tuttavia 908 personaggi non sarebbero d’accordo), se non ci risultasse da fonte certa che in realtà i fascicoli conservati presso l’ufficio D del Sid nel comprensorio militare di Forte Braschi erano 157.000, una quantità sei volte più grande. Chi ha scelto i 33mila dal mucchio?
Ma c’è un altro punto rimasto oscuro nei rapporti ufficiali: Guadalupi, Garavelli, Casardi, Maletti, Santacroce, Cacciopoli, Barbato e Siracusa hanno distrutto i documenti originali o una copia di essi? Ci risulta che al riguardo dai «servizi» fosse stato richiesto di far risultare chiaramente in sede di compilazione del verbale di distruzione se si trattava di fascicoli originali o in copia. Perché ciò non è stato fatto?
E ancora: abbiamo visto che le operazioni di distruzione sono durate 35 ore. Dalle 8,30 del nove agosto 1974 alle 9,15 del giorno seguente. Possibile che Guadalupi e tutti gli altri non si siano assentati mai un momento? Se l’hanno fatto, come sono stati disposti i turni di guardia?
Tante domande, tanti dubbi, perché proprio in questi giorni torna a circolare con insistenza – ripresa persino da un’altissima personalità della Repubblica – la voce secondo la quale i fascicoli Sifar continuerebbero a condizionare la vita politica. Le chiavi del locale blindato dell’ufficio D del Sid, dal ’71 fino al momento del passaggio delle consegne a Sismi e Sisde, sono state nelle mani di sei persone soltanto. Capi del servizio che si sono succeduti nell’incarico: Eugenio Henke, Vito Miceli e Mario Casardi; e i diretti responsabili del controspionaggio interno: Gasca Queirazza, Maletti e Romeo. È da ritenere che nessuno di questi ufficiali abbia sottratto documenti o effettuato fotocopie. Eppure non v’è dubbio che almeno una parte di fascicoli sia fuggita all’esterno. Ad esempio materiale relativo a presunti collegamenti di alti ufficiali con ambienti massonici. In quell’occasione il col. Antonio Viezzer, capo della stampa, ebbe a dichiarare che lui, al pari delle tre scimmiette, non vede, non sente e non parla.
Lo so, non sono due righe.  :roll: Volevo essere più concisa, ma credo questo sia l’ultimo articolo pubblicato a firma di Mino Pecorelli. Vi ricordo che l’omicidio di Pecorelli è uno dei misteri d’Italia (non so se arriverò mai al ’79, quindi cerco di prevenire). Stava scrivendo quello che definiva “lo scoop della vita”. Infatti è morto ammazzato. La versione integrale la trovate qui:
https://www.indygesto.com/dossier/11554-pecorelli-e-i-fascicoli-del-sifar-una-profezia-di-op
Sì, ma l’Operazione Delfino? Ci arriviamo.
Adesso ci vuole un po’ di musica però.
:)
Fine parte seconda
 

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