Perchè farsi?
I drogati che ho conosciuto io si facevano per una o più di queste ragioni:
-perchè per un giovane drogarsi era normale. Molti vedevano i genitori fumare canne e farsi di acidi (i figli di hippie degli anni 60), genitori che gli insegnavano che non bisogna avere paura di fare esperienze. E quando provavano l'eroina ci rimanevano in mezzo.
-per conformismo. Se non ascoltavi certa musica, non fumavi canne, non provavi sostanze sempre nuove, se non ti facevi, eri uno sfigato fifone di merda. E i deboli, quelli che temevano di essere lasciati fuori dalle comitive, seguivano la massa.
-per noia. Molti ragazzi (i figli dei borghesi) avevano già tutto quello che si poteva avere ai tempi: la macchina, la casa al mare, la settimana bianca, il posto nella fabbrichetta del papy. Cercavano esperienze nuove. E non gli mancavano i soldoni per procurarsele.
-per ribellione. "Il sistema" coi suoi valori gli faceva schifo, il sistema diceva che drogarsi era male, e allora c'era chi si buttava nell'alcol e nella droga per puro spirito di contraddizione, per dimostrare di essere 'altro'.
-per fuga. C'era una enorme fetta di giovani che non era accettata dalla (es. i gay) e/o non accettava la cultura dominante, cercava un mondo alternativo in cui fuggire, poi si ritrovava in un inferno da cui non riusciva a uscire.
-per disperazione. C'erano giovani che vivevano la realtà di quell'epoca come alienante e non vedevano possibilità di miglioramento. Ne conosco molti che usciti dall'ubriacatura del 68 prima e del 77 quando credevano di poter cambiare il mondo, davanti al fallimento del loro sogno sono crollati. A differenza dei loro genitori che comunque avevano visto migliorare (non in modo perfetto ma pur sempre migliorare) la situazione rispetto a quando erano giovani, molti ragazzi non vedevano un domani accettabile (a breve termine) e si sono buttati nella droga. Alcuni cercavano proprio l'autodistruzione.
-per ignoranza. Fino a quando non si sono viste le conseguenze vere dell'eroina, molti non si rendevano conto della pericolosità di questa droga. Dopotutto la generazione precedente si era fatta della qualunque, che differenza faceva mai questa sostanza? Invece...
In questo post a mio avviso metti insieme motivi per cui si provano certe sostanze con i motivi per cui si arriva ad essere tossicodipendenti. Per quanto i due temi siano certamente contigui non coincidono, ma, soprattutto in Italia, sono invece sovrapposti.
Lo dico per esperienza personale: sono stato consumatore abituale di sostanze, un po' tutte, e sono arrivato a livelli di consumo significativi. Tuttavia non sono mai stato tossicodipendente, il consumo era sempre perimetrato in parentesi definite. Come faccio a dirlo?
Perché quel limite l'ho visto, è un crinale su cui ho camminato ma fortunatamente non l'ho superato.
Quando la mia realtà si stava scomponendo e la trovavo decisamente opprimente le sostanze erano un meraviglioso modo per evadere e per spegnermi in modo, apparentemente, indolore.
Forse è per questo che ho aperto il topic e sono spinto a parlarne: perché io ho vissuto una decomposizione infinitamente più piccola del post 68-77 e ne ho sentito gli effetti. Sono istintivamente empatico con quella sensazione lì, provata in miniatura.
Il punto è che in Italia si continua a pensare che il problema siano le sostanze.
Ma non sono mai le sostanze, manco le più pericolose. Il problema è la realtà (o quantomeno la propria se non vogliamo dilungarci nella critica sociale), non le sostanze.
Per questo si dice che la dipendenza fisica si supera pure, è quella psicologica il vero muro di dieci piani. E' quando torni lucido che devi affrontare il problema vero.
Un piano terapeutico efficace tende a ricostruire il proprio rapporto con la realtà.
Quello che sottende alle mie critiche è il fatto che non c'è un modo solo per ricostruire il rapporto con la realtà. E se è vero che modi diversi possono raggiungere lo stesso scopo (evitare la morte) allo stesso tempo non mi sembra indifferente il modo né che tipo di realtà viene ricostruita attorno alla persona.
In concreto: non sono scandalizzato dalla costrizione. So bene che in alcuni momenti la costrizione è necessaria. Ma proviamo a vedere cosa c'è dietro ALCUNE forme di costrizione, ossia l'umiliazione, l'annientamento, l'annichilimento della volontà soggettiva per arrivare ad un'altra.
E' il significato psicologico e sociale di queste pratiche che mi terrorizza e che a mio avviso è accettato senza capirlo troppo bene dall'opinione pubblica, NON il fatto che si chiuda un paziente in una stanza per un tot di tempo. Questo mi sembrerebbe quasi ovvio in certe situazioni.