Per quanto riguarda il linguaggio novecentesco se non sbaglio tu stai parlando dei neologismi che in gran parte vengono dall'estero no? (senza che mi vado a rivedere tutto).
Ma no, io li uso tranquillamente ma diciamo che si tratta di termini che riguardano in gran parte situazioni nuove, quindi il termine originario italiano probabilmente fa strano. Invece qui si parla di voler cambiare termini di uso corrente e che sinceramente io non ho mai visto come denigratori verso un genere.
No, in molti casi questi termini hanno un corrispettivo italiano senza alcuna forzatura.
Non serve parlare di "sharata", esiste "condivisa". Non serve usare "meeting", c'è "riunione".
E nemmeno "call" visto che è l'esatto equivalente di "chiamata".
Nel 99% dei casi le parole italiane esistono e non vanno nemmeno adattate, esistono proprio.
Il punto è che l'adattamento al business-talking è politicamente accettato a livello inconscio perché ci fa aderire ad un simbolico a cui VOGLIAMO aderire.
Nulla di scandaloso o incomprensibile, mi chiedo piuttosto il perché delle resistenze al simbolico portato dai cambiamenti linguistici di cui stiamo discutendo, perché probabilmente la questione non è linguistica ma ci parla di una resistenza più complessiva.
https://thevision.com/cultura/uso-egualitario-asterisco-regressivo/
Articolo interessante ma con qualche scivolone.
Ad esempio su history-herstory. Nessun@ pensa che la radice del termine sia his, è un gioco di parole volto a sottolineare l'innegabile taglio maschile della ricostruzione storica e la necessità di recuperare una storia, anzi le storie, dei soggetti non-maschili.
Anche rispetto all'assenza fonetica dell'asterisco mi sembra che l'autore non ne colga il senso.
L'asterisco è usato volutamente come forma transitoria, a segnalare un'assenza più che una nuova regola. Indica uno scarto non colmato nella lingua parlata, ci dice "ci manca qualcosa", non "ecco il nuovo neutro".
Questa è la ragione per cui io lo uso di sovente, mentre trovo orripilante l'uso della -u, che rispetto ma trovo cacofonica a livelli inverosimili.
Poco c'entra quindi il paragone con gli asterischi sulle parolacce, che invece sono forme di autocensura scritta, che segnala al contempo l'uso della parolaccia e la limitazione autoimposta. Ipocrita perché in realtà chi lo utilizza vuole segnalare proprio l'uso di quel termine, ma aggirandone la forma esplicita.
Infine, aspetto forse più rilevante, sulla progettualità discriminatoria della lingua: è chiaro che la lingua non ha in sé una progettualità discriminatoria, la lingua
riflette la progettualità discriminatoria iscritta nei rapporti sociali vigenti.
Pensare che chi solleva il problema linguistico non sia consapevole che il problema si colloca sul piano dei rapporti sociali significa non aver compreso la questione che viene posta e il perché questa viene posta ANCHE sul piano linguistico.