Statue e Public History

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Online vaz

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Re:Statue e Public History
« Risposta #520 il: 07 Lug 2020, 17:23 »



Qui sopra una rappresentazione dei mod di LN in un meeting mensile

Online vaz

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Re:Statue e Public History
« Risposta #521 il: 07 Lug 2020, 19:54 »
Re:Statue e Public History
« Risposta #522 il: 07 Lug 2020, 22:17 »
Quelle dichiarazioni di quel leghista sono la prova provata che la madre degli imbecilli è sempre incinta....
Adesso però a pensarci bene magari sta frase potrebbe essere (è) offensiva nei confronti delle donne....
Allora diciamo che il padre degli imbecilli è sempre pronto a spargere il suo seme....

Scusate sono un po’ in crisi di identità 😉😃

Offline cartesio

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Re:Statue e Public History
« Risposta #523 il: 08 Lug 2020, 12:36 »
non ti interessa girare con la lavagnetta dei buoni o cattivi ma a supporto hai portato testimonianze secondo cui non fosse razzista

Sbagliato.
Non è possibile dimostrare che qualcuno non è razzista. Al massimo si può dimostrare che non ce l'ha coi neri o con gli ebrei, il che non garantisce che non ce l'abbia coi testimoni di Geova. O viceversa. I razzismi sono tanti.

e che il nome fosse un omaggio alla cultura dei nativi.

E allora? Il nome Redskins era un omaggio della società sportiva di allora all'allenatore e a quattro dei suoi atleti. In una discussione sull'opportunità di cambiare quel nome mi sembra un fatto rilevante. Ancora più rilevante in considerazione delle caratteristiche della società americana dell'epoca. A quel tempo la parola Natives non veniva usata.

https://en.wikipedia.org/wiki/Native_American_name_controversy#"Native_American"_(since_the_1960s)

invece Marshall era razzista, e la scelta del nome redskins in luogo di Indian o Braves è una prova.

Gli Indians esistevano già, quindi il fatto non può essere prova di alcunché:

https://en.wikipedia.org/wiki/Carlisle_Indians_football

ma insisto che il razzismo di Marshall è irrilevante nel dibattito.


però ora i solerti difensori del razzismo al contrario ci insegnano a vivere.

Sarebbe bello che tu imparassi a vivere sul forum, visto che ti lasci andare un po' troppo spesso ad insulti. Né io né altri che hanno criticato le tue affermazioni siamo "difensori del razzismo al contrario".

Che è come darci dei razzisti.

Scusati pubblicamente.

Online vaz

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Re:Statue e Public History
« Risposta #524 il: 08 Lug 2020, 21:45 »

Offline Biafra

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Re:Statue e Public History
« Risposta #525 il: 09 Lug 2020, 22:53 »
«Basta intolleranza»
Circa 150 le firme del manifesto contro la «cancel culture»: Martin Amis, Margaret Atwood, Salman Rushdie, Anne Applebaum, John Banville, Noam Chomsky e decine di altri scrittori


È una rivolta contro le intimidazioni, contro l'ondata censoria che rischia di sommergere non solo in America università e giornali, contro il ricatto morale di chi consiglia il silenzio e l'omertà sulle nuove e violente forme di intolleranza per non dare armi e pretesti a Trump. Decine di scrittrici e scrittori, intellettuali, artisti dicono in un appello che la doverosa battaglia contro il razzismo e contro la politica del presidente degli Stati Uniti accomodante con i gruppi che del suprematismo bianco fanno una bandiera non può nascondere i pericoli di un nuovo fanatismo oramai sempre più spavaldo e prepotente, di una nuova ideologia manichea e brutalmente estremista che nel nome del Bene distrugge ogni opinione differente, ogni obiezione critica, ogni dissenso.

Da Martin Amis a Margaret Atwood, da Salman Rushdie a Anne Applebaum, da John Banville a Noam Chomsky, da Khamel Daoud a Jeffrey Eugenides, e poi Ian Buruma e Olivia Nuzzi, Michael Ignatieff e Paul Berman, Michael Walzer e JK Rowling, solo per citare alcuni dei più famosi, circa 150 intellettuali escono allo scoperto per difendere i principi della libertà d'espressione minacciata non da una censura poliziesca tipica delle dittature, ma da una forma pervasiva e violenta di intolleranza che non si limita a mettere il bavaglio ai contemporanei, ma vuole fare tabula rasa del passato, di tutti gli autori che dall'antichità non si sono piegati ai dettami della nuova inquisizione che vede ogni opinione difforme un delitto, in ogni rappresentazione artistica e culturale anche del passato un attentato malvagio alle vittime dell'oppressione.

Il pensiero corre alla statua di Cristoforo Colombo abbattuta, a quelle di Abraham Lincoln, il presidente che ha abolito la vergogna della schiavitù, o di Winston Churchill, l'eroe della battaglia contro Hitler, cioè del vertice del razzismo, deturpate o vandalizzate, oppure al linciaggio cui è stata sottoposta JK Rowling, l'autrice di Harry Potter, indicata al ludibrio come persecutrice dei transgender per aver difeso il principio dell'identità biologica delle donne e soprattutto, questo è il punto, per essere intervenuta in difesa di una donna che aveva perso il posto di lavoro, licenziata in un attimo, per aver sostenuto analoghe opinioni.
 Una circostanza, appunto, in cui un'opinione diversa, discutibile come tutte le opinioni, viene equiparata a una manifestazione di malvagità, ispirata dalle peggiori intenzioni e dunque meritevole di essere punita. La libertà d'opinione è messa a dura prova se le persone vengono liquidate, come Ian Buruma alla New York Review of Books , per aver pubblicato posizioni dissonanti, come se il conflitto delle idee, la discussione aperta, anche aspra, ma libera e tonificante, la battaglia culturale condotta lealmente, argomento contro argomento, tesi contro tesi, non fosse l'ossigeno delle società democratiche fondate sul pluralismo e non sul manicheismo di una lotta tra un Bene e un Male da censurare.
Una deriva pericolosa che in alcune università americane è sfociata nella messa al bando di opere di Shakespeare, come il «Tito Andronico», accusate nientemeno di essere neanche tanto inconsapevolmente un'apologia dello stupro, o di Euripide e di Sofocle, fino all'espulsione tra i piani di studio del «Grande Gatsby», delle opere di Hemingway e naturalmente, come poteva mancare?, di «Lolita» di Nabokov.

 Ma anche, per esempio, al divieto a Londra di esporre opere di Egon Schiele, già perseguitato un secolo fa a Vienna per «oscenità» e i cui nudi oggi rappresenterebbero secondo la nuova Inquisizione una diminuzione sessista dell'immagine della donna. Ora, con questo appello, per la prima volta gli intellettuali cercano di mettere un argine a questa deriva di intolleranza, con un gesto coraggioso di cui i firmatari sono pienamente coscienti, e infatti già si avvertono i primi segni di timide marce indietro per prevenire eventuali attacchi. È la prima volta, ma importante. Gli intolleranti potrebbero cominciare a non avere vita facile.

Mai avrei pensato di dover postare un pezzo di quell'u£h&d%/j di Pierluigi Battista, vergognatevi  :cry:  :xx







Offline Biafra

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Re:Statue e Public History
« Risposta #526 il: 09 Lug 2020, 23:26 »
dimenticavo il testo :)

A Letter on Justice and Open Debate

Our cultural institutions are facing a moment of trial. Powerful protests for racial and social justice are leading to overdue demands for police reform, along with wider calls for greater equality and inclusion across our society, not least in higher education, journalism, philanthropy, and the arts. But this needed reckoning has also intensified a new set of moral attitudes and political commitments that tend to weaken our norms of open debate and toleration of differences in favor of ideological conformity. As we applaud the first development, we also raise our voices against the second. The forces of illiberalism are gaining strength throughout the world and have a powerful ally in Donald Trump, who represents a real threat to democracy. But resistance must not be allowed to harden into its own brand of dogma or coercion—which right-wing demagogues are already exploiting. The democratic inclusion we want can be achieved only if we speak out against the intolerant climate that has set in on all sides.

The free exchange of information and ideas, the lifeblood of a liberal society, is daily becoming more constricted. While we have come to expect this on the radical right, censoriousness is also spreading more widely in our culture: an intolerance of opposing views, a vogue for public shaming and ostracism, and the tendency to dissolve complex policy issues in a blinding moral certainty. We uphold the value of robust and even caustic counter-speech from all quarters. But it is now all too common to hear calls for swift and severe retribution in response to perceived transgressions of speech and thought. More troubling still, institutional leaders, in a spirit of panicked damage control, are delivering hasty and disproportionate punishments instead of considered reforms. Editors are fired for running controversial pieces; books are withdrawn for alleged inauthenticity; journalists are barred from writing on certain topics; professors are investigated for quoting works of literature in class; a researcher is fired for circulating a peer-reviewed academic study; and the heads of organizations are ousted for what are sometimes just clumsy mistakes. Whatever the arguments around each particular incident, the result has been to steadily narrow the boundaries of what can be said without the threat of reprisal. We are already paying the price in greater risk aversion among writers, artists, and journalists who fear for their livelihoods if they depart from the consensus, or even lack sufficient zeal in agreement.

This stifling atmosphere will ultimately harm the most vital causes of our time. The restriction of debate, whether by a repressive government or an intolerant society, invariably hurts those who lack power and makes everyone less capable of democratic participation. The way to defeat bad ideas is by exposure, argument, and persuasion, not by trying to silence or wish them away. We refuse any false choice between justice and freedom, which cannot exist without each other. As writers we need a culture that leaves us room for experimentation, risk taking, and even mistakes. We need to preserve the possibility of good-faith disagreement without dire professional consequences. If we won’t defend the very thing on which our work depends, we shouldn’t expect the public or the state to defend it for us.

Elliot Ackerman
Saladin Ambar, Rutgers University
Martin Amis
Anne Applebaum
Marie Arana, author
Margaret Atwood
John Banville
Mia Bay, historian
Louis Begley, writer
Roger Berkowitz, Bard College
Paul Berman, writer
Sheri Berman, Barnard College
Reginald Dwayne Betts, poet
Neil Blair, agent
David W. Blight, Yale University
Jennifer Finney Boylan, author
David Bromwich
David Brooks, columnist
Ian Buruma, Bard College
Lea Carpenter
Noam Chomsky, MIT (emeritus)
Nicholas A. Christakis, Yale University
Roger Cohen, writer
Ambassador Frances D. Cook, ret.
Drucilla Cornell, Founder, uBuntu Project
Kamel Daoud
Meghan Daum, writer
Gerald Early, Washington University-St. Louis
Jeffrey Eugenides, writer
Dexter Filkins
Federico Finchelstein, The New School
Caitlin Flanagan
Richard T. Ford, Stanford Law School
Kmele Foster
David Frum, journalist
Francis Fukuyama, Stanford University
Atul Gawande, Harvard University
Todd Gitlin, Columbia University
Kim Ghattas
Malcolm Gladwell
Michelle Goldberg, columnist
Rebecca Goldstein, writer
Anthony Grafton, Princeton University
David Greenberg, Rutgers University
Linda Greenhouse
Rinne B. Groff, playwright
Sarah Haider, activist
Jonathan Haidt, NYU-Stern
Roya Hakakian, writer
Shadi Hamid, Brookings Institution
Jeet Heer, The Nation
Katie Herzog, podcast host
Susannah Heschel, Dartmouth College
Adam Hochschild, author
Arlie Russell Hochschild, author
Eva Hoffman, writer
Coleman Hughes, writer/Manhattan Institute
Hussein Ibish, Arab Gulf States Institute
Michael Ignatieff
Zaid Jilani, journalist
Bill T. Jones, New York Live Arts
Wendy Kaminer, writer
Matthew Karp, Princeton University
Garry Kasparov, Renew Democracy Initiative
Daniel Kehlmann, writer
Randall Kennedy
Khaled Khalifa, writer
Parag Khanna, author
Laura Kipnis, Northwestern University
Frances Kissling, Center for Health, Ethics, Social Policy
Enrique Krauze, historian
Anthony Kronman, Yale University
Joy Ladin, Yeshiva University
Nicholas Lemann, Columbia University
Mark Lilla, Columbia University
Susie Linfield, New York University
Damon Linker, writer
Dahlia Lithwick, Slate
Steven Lukes, New York University
John R. MacArthur, publisher, writer
Susan Madrak, writer
Phoebe Maltz Bovy, writer
Greil Marcus
Wynton Marsalis, Jazz at Lincoln Center
Kati Marton, author
Debra Mashek, scholar
Deirdre McCloskey, University of Illinois at Chicago
John McWhorter, Columbia University
Uday Mehta, City University of New York
Andrew Moravcsik, Princeton University
Yascha Mounk, Persuasion
Samuel Moyn, Yale University
Meera Nanda, writer and teacher
Cary Nelson, University of Illinois at Urbana-Champaign
Olivia Nuzzi, New York Magazine
Mark Oppenheimer, Yale University
Dael Orlandersmith, writer/performer
George Packer
Nell Irvin Painter, Princeton University (emerita)
Greg Pardlo, Rutgers University – Camden
Orlando Patterson, Harvard University
Steven Pinker, Harvard University
Letty Cottin Pogrebin
Katha Pollitt, writer
Claire Bond Potter, The New School
Taufiq Rahim
Zia Haider Rahman, writer
Jennifer Ratner-Rosenhagen, University of Wisconsin
Jonathan Rauch, Brookings Institution/The Atlantic
Neil Roberts, political theorist
Melvin Rogers, Brown University
Kat Rosenfield, writer
Loretta J. Ross, Smith College
J.K. Rowling
Salman Rushdie, New York University
Karim Sadjadpour, Carnegie Endowment
Daryl Michael Scott, Howard University
Diana Senechal, teacher and writer
Jennifer Senior, columnist
Judith Shulevitz, writer
Jesse Singal, journalist
Anne-Marie Slaughter
Andrew Solomon, writer
Deborah Solomon, critic and biographer
Allison Stanger, Middlebury College
Paul Starr, American Prospect/Princeton University
Wendell Steavenson, writer
Gloria Steinem, writer and activist
Nadine Strossen, New York Law School
Ronald S. Sullivan Jr., Harvard Law School
Kian Tajbakhsh, Columbia University
Zephyr Teachout, Fordham University
Cynthia Tucker, University of South Alabama
Adaner Usmani, Harvard University
Chloe Valdary
Lucía Martínez Valdivia, Reed College
Helen Vendler, Harvard University
Judy B. Walzer
Michael Walzer
Eric K. Washington, historian
Caroline Weber, historian
Randi Weingarten, American Federation of Teachers
Bari Weiss
Sean Wilentz, Princeton University
Garry Wills
Thomas Chatterton Williams, writer
Robert F. Worth, journalist and author
Molly Worthen, University of North Carolina at Chapel Hill
Matthew Yglesias
Emily Yoffe, journalist
Cathy Young, journalist
Fareed Zakaria

Online FatDanny

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Re:Statue e Public History
« Risposta #527 il: 10 Lug 2020, 00:21 »
l'ho riletto tre volte per essere sicuro, tra lo sbalordito e l'incredulo.
Nell'appello non c'è mezzo riferimento alla questione delle statue. Non dico uno, ma manco MEZZO.
meno male che Biafra l'ha postato e conosco l'inglese o probabilmente mi sarei fidato di quello che si conferma essere un pezzo di fango che fuori dalla benché minima deontologia giornalistica distorce un appello per affermare la sua specifica, quanto ridicola, posizione.

L'appello non fa riferimento in alcun modo all'abbattimento di statue.
Denuncia si un clima di crescente intolleranza ma su tutt'altro piano, quello del dibattito e soprattutto delle risposte che gli attori istituzionali stanno dando invece delle riforme necessarie.
Il cuore del discorso è:
We uphold the value of robust and even caustic counter-speech from all quarters. But it is now all too common to hear calls for swift and severe retribution in response to perceived transgressions of speech and thought. More troubling still, institutional leaders, in a spirit of panicked damage control, are delivering hasty and disproportionate punishments instead of considered reforms. Editors are fired for running controversial pieces; books are withdrawn for alleged inauthenticity; journalists are barred from writing on certain topics; professors are investigated for quoting works of literature in class; a researcher is fired for circulating a peer-reviewed academic study; and the heads of organizations are ousted for what are sometimes just clumsy mistakes. Whatever the arguments around each particular incident, the result has been to steadily narrow the boundaries of what can be said without the threat of reprisal.

Cosa diavolo c'entra con la distruzione di una statua di colombo o la scritta su quella di Churchill lo sa solo Di Battista.
E' proprio un altro topic, seppur connesso alle proteste in corso.
Per altro si concentra su problemi che difficilmente sono responsabilità diretta delle comunità afroamericane soggetto delle proteste, visto che non mi sembrano abbiano questo controllo dei vari centri istituzionali nominati.

Se si leggono i due post al contrario, prima l'appello e poi quello che ne trae Battista viene solo un commento: levateje er vino, è ormai una questione di salute.
 :cheers: :pain:

Offline Biafra

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Re:Statue e Public History
« Risposta #528 il: 10 Lug 2020, 00:24 »
l'ho riletto tre volte per essere sicuro, tra lo sbalordito e l'incredulo.
Nell'appello non c'è mezzo riferimento alla questione delle statue. Non dico uno, ma manco MEZZO.
meno male che conosco l'inglese o probabilmente mi sarei fidato di quello che si conferma essere un pezzo di fango che fuori dalla benché minima deontologia giornalistica distorce un appello per affermare la sua specifica, quanto ridicola, posizione.

L'appello non fa riferimento in alcun modo all'abbattimento di statue.
Denuncia si un clima di crescente intolleranza ma su tutt'altro piano, quello del dibattito e soprattutto delle risposte che gli attori istituzionali stanno dando invece delle riforme necessarie.
Il cuore del discorso è:
We uphold the value of robust and even caustic counter-speech from all quarters. But it is now all too common to hear calls for swift and severe retribution in response to perceived transgressions of speech and thought. More troubling still, institutional leaders, in a spirit of panicked damage control, are delivering hasty and disproportionate punishments instead of considered reforms. Editors are fired for running controversial pieces; books are withdrawn for alleged inauthenticity; journalists are barred from writing on certain topics; professors are investigated for quoting works of literature in class; a researcher is fired for circulating a peer-reviewed academic study; and the heads of organizations are ousted for what are sometimes just clumsy mistakes. Whatever the arguments around each particular incident, the result has been to steadily narrow the boundaries of what can be said without the threat of reprisal.

Cosa diavolo c'entra con la distruzione di una statua di colombo o la scritta su quella di Churchill lo sa solo Di Battista.
E' proprio un altro topic, seppur connesso alle proteste in corso.

Se si leggono i due post al contrario, prima l'appello e poi quello che ne trae Battista viene solo un commento: levateje er vino.
 :cheers: :pain:

ok, c'hai ragione tu.

Online FatDanny

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Re:Statue e Public History
« Risposta #529 il: 10 Lug 2020, 00:24 »
beh, basta leggere quello che c'è scritto, è un dannatissimo appello.

Online FatDanny

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Re:Statue e Public History
« Risposta #530 il: 10 Lug 2020, 00:27 »
Facciamo questo gioco, perseguitato dal pensiero unico di Old-fashion.Net: trovami anche solo un passaggio che anche indirettamente allude alla questione oggetto del topic e che conferma le baggianate di Battista.
Anche indirettamente, mi basta una singola dannata frase.
Ripeto, l'ho letto tre volte perché non ci potevo credere che Battista avesse avuto il coraggio di arrivare a tanto. Eppure l'ha fatto. Ha stravolto l'appello in modo strumentale per trasformarlo in altro.
Un professionista, non c'è che dire.

Offline Biafra

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Re:Statue e Public History
« Risposta #531 il: 10 Lug 2020, 00:30 »
beh, basta leggere quello che c'è scritto, è un dannatissimo appello.

si, si, scusa. Pensavo si riferissero alla libertà di critica su tematiche fintamente anti razziste ormai dogmatiche, cancellazione della storia dei popoli, e pure questioni transgender con la pora J.K. Rowling che passa pure per omofoba o/o transfoba?)

dal basso della mia ignoranza ho capito male... c'ho problemi con l'inglese sai...


Offline Biafra

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Re:Statue e Public History
« Risposta #532 il: 10 Lug 2020, 00:41 »
The way to defeat bad ideas is by exposure, argument, and persuasion, not by trying to silence or wish them away.

te saluto, comunque se scavano sulla discografia di Carla Torgerson finisce male  8)

e pure sto pezzo con i Tindersticks c'ha qualcosa che andrebbe evitato.. 8)
Re:Statue e Public History
« Risposta #533 il: 10 Lug 2020, 00:47 »
si, si, scusa. Pensavo si riferissero alla libertà di critica su tematiche fintamente anti razziste ormai dogmatiche, cancellazione della storia dei popoli, e pure questioni transgender con la pora J.K. Rowling che passa pure per omofoba o/o transfoba?)

dal basso della mia ignoranza ho capito male... c'ho problemi con l'inglese sai...

e basta co sto vittimismo.
hai postato un articolo stupido e fuorviante che mette nel calderone cose che non c'entrano nulla.
tipo i nudi di Schiele.

per quello che riguarda il caso Rowling magari ti interesserà sapere che anche al'inerno dello stesso femminismo c'è un dibatito serrato su sesso biologico e identità di genere, quindi come vedi il pensiero unico c'è solo nella tua testa.
Re:Statue e Public History
« Risposta #534 il: 10 Lug 2020, 00:48 »
e pure sto pezzo con i Tindersticks c'ha qualcosa che andrebbe evitato.. 8)


si, che è na palla

Online FatDanny

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Re:Statue e Public History
« Risposta #535 il: 10 Lug 2020, 00:52 »
"tematiche fintamente razziali"???
Beh dicendo questo dimostri effettivamente di conoscere l'inglese peggio di me visto che l'appello nel primo capoverso dice esplicitamente:

Powerful protests for racial and social justice are leading to overdue demands for police reform, along with wider calls for greater equality and inclusion across our society, not least in higher education, journalism, philanthropy, and the arts. But this needed reckoning has also intensified a new set of moral attitudes and political commitments that tend to weaken our norms of open debate and toleration of differences in favor of ideological conformity. As we applaud the first development, we also raise our voices against the second.

L'appello non disconosce in alcun modo il problema razzista e si schiera anzi a favore delle proteste, esprimendo contrarietà su quello che a loro avvis è un "new set of moral attitudes and political commitments that tend to weaken our norms of open debate and toleration of differences in favor of ideological conformity".
Fanno diversi esempi ma non citano nemmeno lontanamente manco UNA statua.
Secondo te perché, economia del discorso? Fanno sette-otto esempi, mica due, il problema era arrivare a nove? O forse il tema è proprio un altro?

Per altro basterebbe guardare il dibattito successivo all'appello per realizzare che le statue non ci azzeccano una mazza e che in ogni caso nessuno dei partecipanti allo stesso dibattito nega lo specifico problema razziale, su questa immensa cazzata, ti tranquillizzo, hai il copyright:

https://www.outsidethebeltway.com/reaction-to-letter-on-justice-and-open-debate-proves-its-point/
https://www.nytimes.com/2020/07/07/arts/harpers-letter.html
https://medium.com/@upine/response-to-a-letter-on-justice-and-open-debate-e685e6a6a8d5
https://www.washingtonpost.com/nation/2020/07/08/letter-harpers-free-speech/


Eccoti dimostrato che, si, conosco l'inglese meglio di te.
O forse no, perché il problema non è di lingua, è proprio di comprensione del testo e capacità logica.
ma anche questa non mi risulta nuova.

Nel merito: io concordo con le critiche che l'appello sta ricevendo in queste ore.
Sono d'accordo pure io sul libero dibattito e non credo che una persona debba perdere il posto di lavoro per un'opinione che esprime per quanto questa possa essere a me invisa a meno che non sia in contraddizione con la mansione stessa.
Ma l'appello è confuso, mette insieme cose ontologicamente agli antipodi (il potere autoritario di Trump e, anche fosse, il public shaming). Talmente confuso che non l'aveva ben compreso manco chi l'ha firmato:

https://twitter.com/JennyBoylan/status/1280646004136697863

Altro che "timidi dietrofront" dell'ubriacone Battista.
Ora ho capito perché l'ha lasciata sul vago, alla luce di questo il suo articolo risulta ancor più ridicolo.


EDIT:

The way to defeat bad ideas is by exposure, argument, and persuasion, not by trying to silence or wish them away.


ah questa frase secondo te è un riferimento, anche indiretto alle statue?
O è quello che hai deciso di vederci tu?

Guarda, è tutto abbastanza chiaro ormai: il tuo problema non è l'inglese ma la comprensione.
E avendoci un'età hai ben poco da farci, rassegnati ai tuoi grossi limiti intellettuali e consolati col fatto che ce capisci di borsa.
Tu pensi che tramite quella capisci il mondo a differenza di noi tardoni, noi pensiamo altro ed è meglio non esplicitarlo del tutto qui.
Buona notte

Offline Biafra

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Re:Statue e Public History
« Risposta #536 il: 10 Lug 2020, 00:55 »
amen, ci rinuncio...ed evito ulteriori commenti che potrebbero sembrare insulti...cmq c'hai un inglese tutto tuo

mi unisco a voi, andiamo tutti a segnalare a youtube sto schifo








Online FatDanny

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Re:Statue e Public History
« Risposta #537 il: 10 Lug 2020, 00:58 »
Si ma rinuncia davero, noi ce crediamo ogni volta e invece zac, te riproponi come i peperoni e incredibilmente questo spazio dispotico ti permette di dire la qualsiasi.

A me dispiace davvero che tu abbia deciso di dare a sto topic questo ruolo catartico, in particolar modo perché lo rovini tremendamente facendo figuracce a ripetizione.
Detto questo torno a ignorarti come facevo da giorni, che è l'unica soluzione dinanzi al trollaggio.

Offline Biafra

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Re:Statue e Public History
« Risposta #538 il: 10 Lug 2020, 01:02 »
buttiamo fuori tutti insieme sta pericolosissima merda da youtube e il razzismo sparirà!


e che cazzo ci voleva così poco per eliminare il razzismo, butta giù qualche statua, fa manifestazioni e saccheggi in cui si contagiano tutti gli usa, crea qualche zona autonoma (vedi Seattle)  in cui ci sono più morti sparati in due settimane di quanti ne avrebbe ammazzati la razzistissima polizia usa in un paio di anni...

ma perchè non c'avete pensato prima??
Re:Statue e Public History
« Risposta #539 il: 10 Lug 2020, 01:03 »
mi unisco a voi, andiamo tutti a segnalare a youtube sto schifo


Se tu non fossi ignorante sapresti che questo pezzo ebbe problemi di censura già nel 1979 quando uscì, ma venne anche superato, quando si fece presente che il pezzo era ispirato a Lo straniero di Albert Camus.
Che tu lo sai chi era, vero?
 

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