Ecco una discussione in cui si capisce perché certi pipponi filosofici non sono astratte perdite di tempo ma hanno ricadute molto concrete, purtroppo non colte da chi li disdegna.
Il problema è nelle premesse, più che nel discorso.
Davy Jones pone in contrapposizione stasi e crescita. Ma il contrario di stasi non è crescita, è movimento, come ben sapevano i greci che infatti ne facevano il centro dell'esistenza (panta rei). L'esistenza è trasformazione.
Un'altra cosa che pensavano i greci - assieme a gran parte delle civilità antiche - è che il tempo fosse circolare, ciclico. Un eterno ritorno, rinnovamento del tempo, della natura, dell'essere umano.
tanto che buona parte delle celebrazioni sociali e religiose erano legate a questo continuo rinnovamento (dal susseguirsi delle stagioni alle ere storiche).
La concezione progressiva e lineare del tempo ci viene donata dai tanto vituperati monoteismi, in particolare ebraismo e cristianesimo (San Paolo), e dalla loro visione
progressiva che rompe la circolarità del tempo: creazione -> deterioramento -> apocalisse/redenzione.
Sono i monoteismi che inculcano l'idea che "siamo fatti per andare avanti".
Chi lo sostiene è fortemente intriso di più o meno consapevole cultura religiosa.
La secolarizzazione illuminista ha cooptato questo concetto sostituendo il progresso alla redenzione. Quel che poco si nota è che la funzione concettuale di progresso e redenzione è più o meno la stessa. Il mito a tendere capace di condizionare l'azione odierna.
Quel che non cresce non necessariamente rimane quel che è, quindi non necessariamente muore.
Magari si trasforma. La principale differenza tra trasformazione/movimento e crescita/progresso è che il primo è sindacabile, mentre il secondo sembra oggettivo.
Si può discutere se è meglio stare nel punto A o in quello B, mentre sembra oggettivo che 100 sia meglio di 80, a meno che non si parli di casistica di una qualche patologia.
Ma c'è una cosa che invece muore se non cresce e questo è scientificamente provato (per altro nessuno lo nega): il sistema capitalista, il quale senza una costante crescita della produzione è condannato al collasso. A riprova di ciò la crescita del PIL resta tutt'oggi il suo principale indicatore.
Il nostro problema, e il mito del progresso è funzionale e combinato ad esso, è che abbiamo confuso le necessità umane con quelle di un peculiare sistema economico.
Tanto da confondere i bisogni dell'uno con quelle dell'altro.
I progressi medici (dissi) con la riduzione netta del ciclo di vita dei prodotti per velocizzarne la sostituzione al di là di ogni ragionevole necessità, quindi il consumo (parissn).
Addirittura ormai riteniamo totalmente utopico farne a meno, quando la storia umana dimostra che per la stragrande parte della nostra storia ne abbiamo fatto proprio a meno.
Nell'approfondire questa confusione emergono con forza una valanga di contraddizioni, ben identificate da Buckley, ma come al solito il cervello umano per convalidare le categorie a cui si affida opera per rimozione:
- come si fa a ritenere progresso un contesto in cui viviamo sì 20 anni di più, ma per farlo stiamo distruggendo/consumando il pianeta ad una velocità incredibile?
- come si fa a ritenere progresso una serie di vantaggi a prescindere da come tali vantaggi sono distribuiti?
- come si fa a ritenere progresso una serie di possibilità comunicative aumentate (vedi comunicazione social, internet, ecc) che in realtà inaridiscono tanto la comunicazione che l'emotività umana?
Non sono progresso per sanzione divina, sono progresso per indottrinamento ideologico. Fidelizzazione al sistema. Adesione al modello. Per questo siamo spacciati a meno che un'alternativa contenda questa egemonia.
Perché la terra non sostiene il ritmo di crescita capitalista, stiamo esaurendo tutte le risorse e distruggendo tutti gli equilibri in nome dell'unico Dio Profitto ma rimuoviamo il problema come fosse secondario o non avesse soluzione.
La linearità della storia che arriva ad impedire QUALSIASI ritorno.
Giustamente meanwhile a fine post dice l'unica obiezione che può essere portata a questo discorso:
come specie, ce ne siamo sempre ampiamente infischiati, e in fondo ancora siamo qua.Giustamente io gli rispondo che allo stesso modo ragionava il tacchino induttivista prima di finire al forno. D'altronde fino al giorno del ringraziamento al sorgere del sole gli avevano sempre dato cibo, perché aspettarsi di diventarlo?
il capitalismo come sistema opera da appena 250 anni e da circa 100 abbiamo piena contezza della sua capacità distruttrice. Consolarci col fatto che l'abbiamo scampata finora non ci salverà.
Siamo vittime e artefici del nostro destino e se pensiamo che sia immutabile siamo più artefici che vittime.
E la natura mitologico-religiosa del progresso ci sbatterà in faccia con tutta la sua forza.