E' diventato uno sport minore, relegato al ruolo di vice-wrestling, sfrangiato in una miriade di Federazioni, organizzazioni e sigle più o meno ufficiali, che ne hanno snaturato in meniera irreversibile il valore.
Praticato e frequentato solo da ragazzacci dell'Europa dell'Est pieni di tatuaggi, piccoli Orientali velenosi (Filippini, Thailandesi, Indonesiani) e Sudamericani e Nordafricani in cerca di riscatto. I figli delle buone famiglie occidentali fanno piscina, giocano a pallavolo, a basket, a pallone, a tennis, girano sul kart, sulla bici o vanno a cavallo. Fare a cazzotti è l'ultima cosa che un educatore o un pediatra potrebbero consigliare. Nei Paesi più indietro ciò evidentemente ancora non accade...
Poco o nulla a che vedere con la Noble-Art, uno degli sport più spettacolari del XX Secolo. La boxe sport forte, crudo, cattivo, addirittura feroce, ma al tempo stesso elegante, bello a vedersi, per certi versi esaltante.
Chi ha oggi più di 35/40 anni ha avuto la fortuna e l'onore di assistere a incontri di boxe davvero memorabili. Quelli di Cassius Clay/Muhammad Ali su tutti: con Frazier, con Sonny Liston, con Oscar Bonavena, con Foreman, con Spinks. E poi Marvin Marvellous Hagler, e con lui la saga dei pesi welter e pesi medi, davvero grandiosi: Sugar Ray Leonard e Roberto "Manosdepiedra" Duran (i due dello storico, terrificante match "No-Mas" del 1980!), e poi Thomas Hearns, Carlos Monzon, Emil Griffith, Nino Benvenuti, fino a Ray Robinson e Jake La Motta. E poi i mostri veri, i pesi massimi Larry Holmes, Holyfield, Ken Norton, indietro fino a Rocky Marciano, Joe Louis, Dempsey, Sharkey, Marcel Cerdan e il mitico Jack Johnson, forse, considerati i tempi e le condizioni sociali, il più grande di tutti. E infine Mike Tyson, l'ultimo capace di catalizzare l'interesse, nel bene e nel male, di platee planetarie. Dopo di lui la boxe è di fatto finita.