Non mi intendo di rugby , ne di basket .
Ma vorrei fare una considerazione sui vostri pareri .
Premesso che come nel calcio siamo tutti CT .
Pero' leggo , a prescindere dai risultati , FORTISSIME CRITICHE sulla gestione allenatori .
Io seguo la pallavolo , quello che la Federazione e' risuscita negli ultimi anni a fare sulla scelta degli allenatori e' roba da terzo mondo nonostante gli allenatori italiani , maschile e femminile , siano richiesti in tutto il mondo .
Vorrei chiedervi , ma non e' che in italia la scelta dell'allenatore sia fatta in funzione "politica" .
Cioe' senza alcuna cognizione di causa su quali sono gli aspetti fondamentali di ciascuna disciplina e quali siano i valori espressi dagli atleti italiani ?
Boh.
Discorso complessissimo che meriterebbe un'intera cena.
Il rugby é uno sport che sta evolvendosi in maniera esponenziale da poco meno di 20 anni.
E' passato da sport di nicchia praticato da
amateurs con la puzza sotto al naso a sport di massa seguito da centinaia di migliaia di italiani e capace di riempire L'Olimpico e San Siro e soprattutto di portare, nelle casse di una federazione "minore", tanti tantissimi soldi. E questo vale non solo per l'Italia.
Questa rivoluzione copernicana, a livello strutturale, ha avuto un effetto determinante anche in campo, dove, al posto di "dilettanti" che si allenano la sera dopo il lavoro e si incontrano dopo la partita per il terzo tempo sono arrivati iperprofessionisti pagati fior di milioni che giocano per mestiere con tutto quello che questo comporta.
Velocizzazione del gioco, struttura fisica dei giocatori, potenza, perché no, anche violenza, preparazione atletica e tattica.
E' non é solo un problema italiano, ma anche di altri paesi dove il professionismo é ancora più esacerbato.
Da noi, questo passaggio non é ancora stato digerito. A livello strutturale e soprattutto geografico.
Negli anni 70/80/90 nel nostro piccolo campionato ci giocavano, durante l'inverno, i migliori campioni dell'emisfero australe. Durante l'estate giocavano nei loro campionati e poi, nella pausa (per loro) venivano a giocare in Italia.
Nel nostro campionato hanno giocato alcuni tra i più forti campioni della storia di questo sport. Per fare solo un esempio, nel 1991, venne giocare nella Lazio rugby, in seconda divisione, Zinzan Brooke, probabilmente il più forte numero 8 della storia del rugby. Come se Cruijff avesse fatto una stagione con la Cremonese.
Tuttto, questo, per anni, ha, in qualche modo, "drogato" il nostro movimento. Facendo credere che fosse più importante di quello che, in realtà, é. Ottenendo comunque un risultato epocale come l'ingresso nel torneo del 5 nazioni, oggi 6.
Ora, vent'anni dopo questo cambio epocale, in Italia non si riesce ancora a portare il rugby nella nuova era. Non ci riescono bene neanche in Francia, va detto, dove il rugby cosiddetto di "campagna", quello con 5000 spettatori al massimo, compreso il sindaco e il parroco, colonna storica del loro movimento, sta scendendo faticosamente il passo al rugby delle grandi città, con i grandi stadi e le dirette televisive.
In Italia questo blocco ha anche una valenza geografica, il nostro rugby vive ancora sul dominio del veneto e delle province limitrofe (Parma, Brescia...). Province cariche di storia ovale ma povere di risorse umane e soprattutto di opportunità. Quando furono create le due franchigie per giocare nella lega celtica (secondo me un'ottima idea) invece di fare la scelta logica di creare due squadre a Roma e Milano, che giocassero in impianti di livello si scelse di dare un posto al Benetton Treviso e di creare una franchigia federale prima a Viadana e poi a Parma. Scelta che si é rivelata fallimentare.
Tutto questo, secondo me, si riflette nelle scelte strategiche e sportive della federazione. Che negli ultimi 10/15 anni ha alternato a scelte tradizionali ma più rassicuranti, come Berbizier e Brunel, espressioni del vecchio rugby francese, quello fatto di fango e mischia, a scelte più innovanti come John Kirwan (NewZealand) o Nick Mallett (Sudafrica) i quali, probabilmente, malgrado risultati in chiaro scuro, hanno fatto fare i passi in avanti più decisivi per il rugby in Italia.
Il primo lancio' in nazionale, senza curarsi dei vecchi senatori, una generazione di ventenni che rispondono al nome di Parisse, Canale, Castrogiovanni, Mirko Bergamasco, il secondo invece, oltre ad aver caldeggiato l'ingresso nella lega celtica di due franchigie italiane, ha dato alla nostra nazionale una cultura del lavoro certosino e dei dettaglio che prima non avevamo. Insomma, un alternarsi di conservazione dell'esistente (che a volte é anche consigliabile) e di scelte coraggiose, al limite dell'incoscienza, che però, poi, alla lunga hanno fatto avanzare.
Oggi, credo, sia arrivato il momento di fare finalmente delle scelte decisive, anche impopolari, che, in qualche modo rompano con la nostra tradizione rugbista che ci impone di giocare solo tra Dolo, Treviso, Padova e Parma. Magari il nostro futuro campione é già nato e vive a Bari, o a Potenza, o a Teramo. Bisognerebbe che la federazione ogni tanto scendesse sotto al rubicone per cercarli.
E scegliesse un tecnico capace di cavalcare e di ispirare questa scelta.