ieri sera, vendendolo tirare punizioni che sfioravano pericolosamente i fotografi e le bandierine del calcio d'angolo mi é venuto in mente quando 3 anni, con V., nello stadio vuoto durante la sfida con lo Stoccarda, lo definimmo "il coatto" della Lazio.
Ecco, secondo me il suo problema é che é "un coatto". Nel senso purtroppo più negativo della parola.
Ve lo ricordate, quando si era ragazzini e si giocava sotto casa o ai giardinetti, che arrivava quello che se la credeva più forte di tutti, quello che voleva calciare tutto lui, che non la passava mai, che faceva sempre il dribbling di troppo, il passo di troppo, che se non gliela passavi s'incazzava e se, per caso, riusciva a segnare, magari di spizzo o di stinco e se la tirava per ore come se avesse segnato in rovesciata.
Ecco, quello é Candreva.
Ha un piede sopraffino, grande talento calcistico, pero' ora sembra evidente la ragione per cui, a un certo momento della carriera si é trovato a fare la riserva del Cesena.
Non ha nessun grammo di quella che i francesi chiamano "intelligence situationnelle". Ovvero la capacità di fare la cosa più giusta nel momento giusto. Non ce l'ha.
Ieri le quattro igno.bili punizioni che ha tirato gridano vendetta. Vendetta per chi ha sfidato il freddo e il cattivo umore per andare a vedere la Lazio, per l'affetto e la passione che li divora e che li ha portati a svegliarsi dal torpore di una partita soporifera e a credere, con la voce, al gol della Lazio. Quelle quattro ciabattate indecenti, accompagnate da decine di cross o corner a altezza nano, chiedono vendetta anche per le centinaia di migliaia di laziali che stavano davanti alla televisione, o a seguirla in radio mentre, magari, lavoravano come panettieri, autisti dell'autobus, operai, o magari appena svegli aldilà dell'oceano perché c'é un laziale in ogni angolo della terra.
Ecco, per loro, per chi era allo stadio, io credo che le strade di Candreva e della Lazio debbano separarsi.
Anche per non rovinare, in fondo, una bella storia sportiva durata quattro anni. Costellata da momenti anche esaltanti.
Ora, pero' é il caso di salutarci. Per non avvelenarci.