Random, visti i tanti interventi e sollecitazioni.
1. "Guerra civile" non ha niente a che fare con lo scontro fisico, soprattutto allo stadio, per conquistare posizioni di egemonia militare, di settore, di dominio su altri. Bisogna inventare un'altra partita, un altro tifo, tanti modi plurali di esprimere il tifo: non perché la modalità "ultras" cesserà di essere presente e accattivante - soprattutto per le generazioni più giovani - ma per immaginare un altro orizzonte di partecipazione, di valori, di aggregazione, attorno a una lazialità differente (c'è chi dice "originaria", ma questo conta poco). E non si tratta nemmeno di uno scontro tra "politicamente corretto" e "ribellismo", legalità contro illegalità. Io rivendico il diritto di continuare a dire "roma merda" come di non accettare la militarizzazione dello stadio. La storia che abbiamo davanti - quella banalità del male immortalata dall'ultimo video, una continua ricerca goliardica dell'[...]a - come tutte le storie sociali, culturali, è (può essere) reversibile e modificabile. Bisogna mettere insieme cose diverse, da punti di vista diversi, aprire una moltiplicazione di "soggettività", dove ognuna si prende un pezzetto di responsabilità: tifosi comuni, giornalisti, intellettuali, politici, dirigenti, giocatori, allenatori e presidenti. Fare della lazialità e dell'antirazzismo un binomio inscindibile, proprio perché oggi la guerra all'umanità sta al governo in questo paese e nel mondo.
2. Non penso che Lotito abbia prodotto i fascisti allo stadio e in curva. Non sono così stolto. Dico soltanto che la società, come squadra e giocatori, possono fare moltissimo. Basterebbe una presa di posizione netta e non in difensiva, plateale, per aprire il varco alla "guerra civile". Basterebbe che una figura riconosciuta al prossimo ululato vada sotto la curva o prendesse le parti del giocatore nero bersagliato, per dire che così si fa il male della Lazio e si fa male alla dignità delle persone. Questo spaccherebbe il fronte tra i tifosi, anche in curva. Il problema della società è che ha stretto un nuovo patto di non belligeranza (anche "economico", sui negozi e non solo) con quel gruppo di persone che, con una lucidità e una organizzazione fuori dal comune, hanno costruito questa identità funesta in 31 anni di militanza allo stadio e fuori.
3. Dire che quelli dellà stanno come noi è una mezza bufala autoconsolatoria. Nella storia, per contingenze sociali e culturali specifiche, ma anche sul presente non c'è alcuna automatica omologia. La loro mitomania e arroganza, il loro carrozzone mediatico e di potere, produce mostri di altro tipo, che conosciamo bene, che ha sdoganato violenza, sopraffazione, populismo becero. Ma anche nei momenti più bui non parliamo di quel controllo ideologico, militare, politico che è presente in curva nord, quell'organizzazione omogenea che segna l'immaginario e il tifo ultras giovanile (e non), che ormai travalica i confini nazionali.
4. Dire che questa gestione del territorio-stadio, e non solo, è così pervasiva, così sedimentata ed egemone, così pericolosa per la Lazio, non significa giudicarla onnipotente e irriformabile. Significa fare un passaggio di verità obbligatorio, per capire come muoversi per poterla cambiare. Lazionet ha un merito storico straordinario: tanti anni fa, ha gettato un sasso nello stagno di un mondo che sembrava scolpito nel marmo; ha creato dibattito, punti di vista plurali, offerto la possibilità di un'altra narrazione, ma anche un altro modo di tifare, anche nello stadio, e in tanti luoghi attraversati da molte iniziative. Si tratta di moltiplicare questi luoghi e queste prese di parola, decentrare la possibilità di rappresentazione del tifo, inventare una "scuola popolare della lazialità" che un giorno, domani e dopodomani, possa crescere, contaminare ed esprimersi anche allo stadio. Non in una guerra virile e maschia per il possesso delle prime dieci file, ma per avvolgere il campo con altre parole, cori, immagini. Si tratta di una "guerra di lunga durata", che non è iniziata nemmeno adesso, ma che necessità di nuove forze, nuove parole, nuove responsabilità. Sapendo che tutti gli accorgimenti pensabili, non ci tuteleranno mai, fino in fondo, dalle possibili reazioni scomposte e/o violente di quelli che tifano prima Hitler e poi Lazio. Una sfida del genere deve mettere in conto qualche prezzo. Se la si fa in tanti, con passione e intelligenza, si affronta meglio anche la paura.