Di padre in figlio

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Di padre in figlio
« il: 06 Feb 2014, 12:36 »
E’ passata una settimana dalla cessione all’Inter del “Profeta”  e mancano due giorni al derby.
L’ambiente laziale è in pieno fermento: attacchi furiosi contro un presidente assolutamente non all’altezza del suo ruolo, proclami di abbandono definitivo dello stadio e così via.
E’ un altro di quei momenti drammatici con cui i tifosi laziali periodicamente si trovano a convivere e che, per essere superati, richiedono una “rielaborazione” delle origini, delle fondamenta della nostra granitica passione per la Lazio.
Per questo motivo, mi permetto di uscire dalla stretta attualità sulle questioni societarie e tecniche della squadra per fare una riflessione sulla passione del tifoso ed, in particolare, sulla bellezza di condividere questa passione con i propri figli, con un pensiero per tutti quei laziali che domenica saranno, come me, all’Olimpico con i loro “cuccioloni”.

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Il nocciolo della questione è: come il rapporto tra padre e figli (in particolare se maschi) si esalti e viva uno dei momenti di maggiore affiatamento, sintonia e condivisione nel tifare per la stessa squadra del cuore, soprattutto dalle tribune di uno stadio.

L’emozione della partenza da casa, i miei due ragazzini ed io con le sciarpe già al collo, le bandiere arrotolate ed i panini nello zaino (le bottigliette d’acqua o di succo di frutta no, perché quelle non le fanno entrare); l’avvicinamento allo stadio, con il cd con gli inni della Lazio che si alterna ai collegamenti con Radiosei, che manda in onda gli ultimi commenti sulle formazioni e le telefonate dei tifosi, costantemente, e il più delle volte, eccessivamente ottimisti sull’esito della partita (ma i tifosi, da che mondo è mondo,  in genere sono così), i colpi di clacson ritmati ogni volta che ci si avvicina ad un’autovettura che esponga anche lei vessilli con i colori del cielo;  l’arrivo a Ponte Milvio, il percorso fino allo stadio unendosi in un corteo di persone di ogni età (qualche mese fa c’era una mamma con un bambino di non più di un mese in braccio), ma tutti, senza alcuna eccezione, con qualcosa di biancoazzurro addosso, la maglietta, una sciarpa, una bandiera; l’acquisto del caffè Borghetti dalla signora anziana seduta da sempre nella stessa panchina (ha sempre portato bene comprarlo da lei e, per inciso, anche la persona più razionale, un tipo alla Piero Angela per intenderci, diventa irrimediabilmente superstiziosa quando gioca la sua squadra del cuore); l’ingresso nello stadio (settore “distinti nord ovest” da sei anni a questa parte) e la visione del rettangolo di gioco e degli spalti dell’Olimpico che, anche dopo tanti anni, per un attimo ti toglie il fiato: i colori, i cori, gli striscioni, le sciarpe, le bandiere.
Da questo momento si esce dalla realtà di tutti i giorni per vivere per qualche ora in un’atmosfera straordinaria, fatta di emozioni fortissime, di passioni travolgenti, di apocalittiche delusioni e di inenarrabili gioie.
Ho sentito dire, e condivido, che fra l’assistere ad una partita allo stadio e vederla in TV vi è la stessa differenza che c’è nel fare all’amore e vedere un film a luci rosse. Consideriamo allora che queste sensazioni vengono ulteriormente amplificate per i papà e i figli (in particolare se maschi) che si trovano a vivere insieme momenti unici, indimenticabili, la cui intensità possono comprendere solo loro.
Unire in alto le proprie mani e le sciarpe per formare con gli altri spettatori vicini, con tutta la curva, con tutto lo stadio un unico manto biancoceleste che sembra trascinare il cielo di Roma fino ai bordi del rettangolo verde, lo stringersi nervosamente le mani o le maglie nei momenti in cui la squadra è in difficoltà, l’unirsi tutti e tre in un’unica voce ai cori intonati dai ragazzi della curva, lo sguardo reciproco, sbigottito, dopo un’occasione fallita, la disperazione dopo un gol subito ma un attimo dopo, tutti e tre, a incitare di nuovo a squarciagola la squadra, l’abbraccio ad un gol della nostra Lazio, un abbraccio che non è come gli altri abbracci ma è qualcosa che ti rimane impresso, che ti lascia il segno.

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Quindi, l’unicità del rapporto che si crea, grazie al calcio, fra padri e figli porta come ineludibile conseguenza che i figli (in particolare se maschi) hanno l’assoluto, inderogabile dovere di tifare per la squadra del padre.
I lettori di questo blog non possono non condividere che la più ampia libertà di scelta nelle questioni fondamentali della vita che dobbiamo favorire e stimolare nei nostri figli non può che trovare qui un limite oggettivamente insuperabile.
I nostri figli avranno diritto, dopo approfondite riflessioni ed il raggiungimento di un adeguato livello di maturità e di consapevolezza, di professare la religione cattolica, protestante, islamica, buddista (che fa pure molto chic), possono diventare hari krishna, professarsi deisti, atei o agnostici, potranno vivere la loro sessualità in maniera etero, omo o bisessuale o come meglio credono; potranno frequentare i centri sociali, partiti politici di qualunque idea od opinione (ammesso che trovino ancora partiti con una qualsivoglia idea od opinione che non sia pura retorica o irritante banalità), ma di fronte alla scelta della squadra cui tifare NO, qui troviamo l’eccezione che conferma la regola, qui tutti i discorsi che ci andiamo a ripetere decadono inevitabilmente, qui i margini di discrezionalità nella scelta non vanno ridotti ma assolutamente azzerati, qui entriamo in un campo dove, per tutte le considerazioni che ho ampiamente esposto sopra, non si può minimamente scherzare.

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Come raggiungere l’obiettivo. Partiamo dalla considerazione che l’obiettivo VA raggiunto, non può essere accettato alcun rischio che l’obiettivo non venga raggiunto.
L’indottrinamento deve essere talmente rigoroso, granitico che a confronto una madrasa talebana del Punjab vi deve apparire come un cenacolo di anarchici.
Ritengo di poter parlare al riguardo con cognizione di causa perché, nel mio caso, il lavoro ha avuto successo.
Innanzitutto l’intervento deve iniziare subito, sin dai primi giorni di vita del bambino; è vero che ancora non ha sviluppato completamente le sue capacità sensoriali, ma questa crescita deve avvenire di pari passo con i primi contatti con i colori ed i suoni di quella che dovrà essere, anzi sarà, la sua squadra del cuore.
Limitiamo nella cameretta la presenza di pelouche e poster banali di personaggi di Walt Disney e arricchiamo le pareti e le sponde del lettino con sciarpe, poster e bandiere (d'altronde il biancoceleste ben si presta per i maschietti). Basta poi con queste musichette insopportabili dei carillon o con le canzoncine zuccherose dello Zecchino d’Oro; inni della squadra, uno dopo l’altro, e poi, solo quando il pargolo è un po’ cresciuto, inserire qualche cd di cori ultras, che hanno ritmi e toni più impegnativi. L’indottrinamento va, inoltre, accompagnato da qualche intervento di terrorismo psicologico, come ad esempio “se fai il cattivo ti metto la maglietta della Roma”, ovvero “se fai il monello ti porto a vedere la Roma” o ancora “se non la smetti ti viene a trovare Francesco Totti”.
Senza dubbio, è un lavoro che può rivelarsi anche stressante. Ricordo un viaggio Roma – Merano in un giorno da bollino nero (praticamente 12 ore di guida per 700 Km) accompagnato, quasi per intero, da un cd di canzoni della Lazio, 6/7 canzoni da durata complessiva di una ventina di minuti (d'altronde la Lazio non possiede un patrimonio musicale paragonabile all’opera omnia di Mozart) e, devo ammettere che, in qualche viadotto, la tentazione di puntare il guard rail c’è stata.
Arriva la prova del fuoco: il battesimo dello stadio (da provare, secondo la mia esperienza, appena compiuto un anno di età). E qui, salite le scalette che introducono alla tribuna, ti accorgi se i tuoi sforzi hanno prodotto il risultato sperato; basta osservare come si illuminano gli occhi del bambino alla vista del prato, degli spalti affollati, dello sventolio delle bandiere. Lo capisci subito.

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E poi, se la Lazio ha vinto, si risale in macchina, le sciarpe biancocelesti fuori dai finestrini, il cd acceso, tre voci che diventano una sola “Biancoazzurri, nel cuore i colori del cielo ……… “. E ti rendi conto di vivere con i tuoi figli dei momenti unici, irripetibili, che può comprendere solo chi li ha provati.
Sullo zaino, là sul sedile, una piccola bandiera annodata al manico, che mio padre mi ha regalato il giorno del mitico scudetto del ’74 ed un adesivo, acquistato nelle bancarelle fuori lo stadio, raffigurante un uomo che tiene per mano un bambino e una scritta: SS. LAZIO 1900 – DI PADRE IN FIGLIO.


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Offline simcar

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9169
Re:Di padre in figlio
« Risposta #1 il: 06 Feb 2014, 12:57 »
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Offline Mocambo

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Re:Di padre in figlio
« Risposta #2 il: 06 Feb 2014, 15:17 »
Che meraviglia, Tiger. Grazie. I colori dei nostri padri, i colori dei nostri figli.

Offline Buraz

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1316
Re:Di padre in figlio
« Risposta #3 il: 06 Feb 2014, 15:29 »
grande Tiger!  :band3:

Offline Jeffry

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12919
Re:Di padre in figlio
« Risposta #4 il: 06 Feb 2014, 17:12 »
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Offline ian

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7680

Offline ian

Re:Di padre in figlio
« Risposta #5 il: 06 Feb 2014, 17:52 »
Ottimo, d'accordo su tutto.
Qualche dubbio sulle telefonate fraciche di ottimismo dei tifosi a radio 6, se devo essere onesto.
 

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