se ci fosse giustizia, nel mondo, questo pezzo dovrebbe stare sulla prima pagina di Rolling Stones
Esagerato! Magari Mojo o Uncut sono più nelle mie corde

Per rimanere in tema, c'è da dire che il disco ha la forza del non-luogo, del non-tempo. E questa forza, paradossalmente, è proprio ciò che consente agli Arcade Fire di fotografare al meglio il qui e ora.
Ovviamente la loro musica è una delle infinite fotografie possibili del presente, così come la mia non è che una delle infinite intepretazioni del loro lavoro; una interpretazione filtrata e guidata dalla mia sensibilità e dalla modalità che attualmente prediligo per far vivere la musica nella mia esperienza:
impastandola con gli altri input percettivi e sensoriali, facendola dialogare con immagini, odori, suggestioni, messaggi recuperati lungo il fluire quotidiano della vita.
E' in fondo un modo per liberare la musica dall'ascolto onanistico da cameretta (tutto chiuso, cuffie in testa, espressione di chi sta per dichiarare guerra alla Cina) o dall'ascolto distratto di chi la usa come sottofondo, come fosse un tappeto il cui scopo è quello di attutire i colpi e gli attriti tra l'attività svolta (lavoro o semplice passatempo) e la realtà circostante.
A me piace costruire film e video con la musica che scelgo di ascoltare.
Per questo la porto in giro, la monto su paesaggi urbani, volti conosciuti e sconosciuti, storie che conosco, che ho ascoltato un minuto prima, storie che invento, brandelli di dialogo, sguardi, gesti, singole parole strappate via da quella massa indistinta e densa di comunicazioni varie.
L'aderenza dell'ultimo Arcade Fire al pomeriggio passato alla Bufalotta ha sorpreso anche me; mi sembrava di stare dentro a un video: tutto era perfetto, straziante nell'assenza di prospettive (le
loro, the others, ma anche le mie), pauroso nella normalità delle pulsioni percepite, un pomeriggio con una bellissima luce e senza ali. Un pomeriggio schiacciato e pressato in una cartolina bidimensionale, una traccia priva di profondità, priva di una dimensione capace di farti andare oltre, sognando sogni veri, pensando pensieri veri. Tutto piatto e lucente. E scuro come la banalità. Vite segnate: una seconda casa, magari al mare, una smart "d'appoggio", le unghie dall'estetista, un altro tatuaggetto, l'mms di tuo nipote, che amore, e un minuto prima stavi streammando anal teen squirting, speedy pizza, playstation, multisala.
Mi manca l'aria, sul serio, e allora mi fermo.
The Suburbs ha accompagnato queste riflessioni e gli sono grato.
Ma sto parlando della mia esperienza, di come ho
usato il disco, costruendoci sopra (o forse costruendo grazie anche ad esso) ciò che mi serviva e mi serve.
Se diamo uno sguardo ai testi, all'interno del lavoro si parla inevitabilmente di un altro orizzonte
ma non di altro; una fuga incombente, rimandata, negata e forse alla fine solo sognata, perché non c'è un altro posto dove andare. Nulla di nuovo, ok, ma allora perché fa così male questa negazione, questo sogno?
Musicalmente è tutto vero quello che state leggendo in questi giorni: New Order, Blondie, Pulp, echi di Neil Young e ancora tanta Inghilterra.
Ma forse tutto questo conta poco.
E' un disco che esce all'inizio di agosto, quando l'estate è in grado di ammazzarti, facendoti credere che il domani possa ancora essere riempito.
E invece di ritrovi anche tu ad essere una foto.