Inserisco due articoli molto interessanti sulla vicenda Rana Plaza e sulle mani sporche di sangue delle multinazionali occidentali del tessile, anche e soprattutto italiane. Non so quanto questa vicenda - o meglio, tutto quello che c’è dietro questa vicenda - possa essere correlata agli attentati di Dacca, la mia è una speculazione che immagino possa essere anche considerata in maniera molto negativa o addirittura “giustificazionista”; sono consapevole anche che quei pazzi [...] - come già accaduto in precedenza in attacchi simili - facevano parte di famiglie benestanti e godevano di un livello di istruzione molto superiore alla media nazionale, ma questo non toglie che quelle vicende potrebbero aver generato una rabbia antineocolonialista anche negli strati più borghesi della popolazione, un terreno fertilissimo per la retorica jihadista.
Il vero prezzo della moda
Il 24 aprile 2013, in Bangladesh, è crollato il Rana Plaza, un edificio di otto piani che ospitava diversi laboratori tessili a Savar, una città a venti chilometri dalla capitale Dhaka.
Nel crollo sono morte 1.129 persone, e circa 2.515 feriti sono stati estratti vivi dalle macerie. Nel palazzo lavoravano almeno cinquemila persone, soprattutto donne, che producevano capi d’abbigliamento anche per noti marchi occidentali.
Un anno e mezzo dopo gran parte delle vittime non è stata risarcita e i passi avanti negli standard di sicurezza delle fabbriche tessili del Bangladesh – dove si producono soprattutto capi d’abbigliamento per conto di aziende occidentali – sono ancora molto scarsi.
-------
ROMA - Due anni sono troppo pochi. E le immagini di quel rogo sono ancora vivide. Ad una settimana dal secondo anniversario della tragedia del Rana Plaza, Bangladesh, 24 aprile 2013, mille cento trentotto operai vittime della totale assenza di sicurezza su quel luogo di lavoro, in tutto il mondo sono programmate azioni per chiedere che i sopravvissuti e i familiari delle vittime siano finalmente risarciti. E dall'Italia arriva la notizia che Benetton verserà 1,1 milioni di dollari nel Rana Plaza Donor Trust Fund. Un passo in avanti che però viene ritenuto non sufficiente dalle associazioni, come Clean Clothes e Avaaz, che da mesi tengono alta l'attenzione dell'opinione pubblica sul tema.
Le critiche di Clean Clothes. La richiesta da parte delle associazioni all'azienda italiana, infatti, era ben altra. Alla Benetton era stato chiesto un versamento di cinque milioni di dollari. "Benetton ha avuto la possibilità di emergere come leader nella cura e nel rispetto dei diritti delle vittime, dimostrando che le sue parole non erano solo operazioni di marketing" dice Ineke Zeldenrust della Clean Clothes Campaign. E la critica di Clean Clothes riguarda anche il metodo attraverso cui si è arrivati a stabilire questa cifra. Nello scorso febbraio, l'azienda italiana aveva chiesto alla società di revisione Price Waterhouse Coopers (PWC), di stabilire l'ammontare del risarcimento. "Parliamoci chiaro, il comportamento di Benetton non è stato per niente trasparente. Il processo ha escluso tutti i sindacati e le organizzazioni che si occupano di diritti dei lavoratori" commenta Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign.
La voce dei superstiti. E numerosi commenti arrivano in queste ore anche dal Bangladesh. Da chi in quel crollo ha perso tutto. "Benetton dovrebbe sapere quanto, a causa sue e degli altri marchi coinvolti, abbiamo sofferto per l'accaduto e adesso esce pubblicamente con 1,1 milioni di dollari. Questo è così irrispettoso per noi e per tutte le vittime Rana Plaza", il commento di Latif Sheikh, che quel giorno di due anni fa ha perso la moglie. Latif insieme alle altre famiglie delle vittime e ai superstiti mantengono la loro richiesta a Benetton di colmare quanto manca a raggiungere la cifra totale necessaria al fondo: altri sette milioni di dollari a fronte dei 23 già raccolti.
Avaaz: "Un prezioso precedente". "Il contributo di Benetton non è certamente sufficiente a risarcire la morte e le sofferenze causate dai loro vestiti. Ma è solo grazie alla richiesta di oltre un milione di persone che l'azienda ha finalmente cambiato posizione e deciso di contribuire", dice Dalia Hashad, direttore delle campagne di Avaaz. "Questo introduce un precedente per le imprese di tutto il mondo: quando dei lavoratori muoiono, non ci si può girare dall'altra parte. I riflettori vanno ora puntati sulle compagnie collegate alla tragedia e che ancora si rifiutano, come Carrefour e Walmart a livello internazionale o Manifattura Corona, Robe di Kappa e Yes Zee in Italia, affinché facciano la loro parte e mettano i fondi mancanti per consentire che tutte le vittime ricevano quello di cui hanno bisogno e che si meritano".