La teoria della crisi in Marx descrive un capitalismo destinato a crisi cicliche sempre di maggiore entità (perché maggiore è il capitale investito in esse) dovute alla sovrapproduzione di merci, che il credito riesce al massimo a posticipare - e infatti l'ultima crisi si è manifestata anzitutto come crisi del credito/debito.
Questa teoria è confermata dalle crisi del 1929, 1973, 2008.
Kondratiev sviluppò ulteriormente la cosa con la "teoria delle onde lunghe", teorizzando che i cicli sono piuttosto regolari e su base di 50-70 anni hanno andamento sinusoidale e oggi saremmo tra sesta e settima onda, successiva alle seguenti:
Rivoluzione industriale 1771
Era del vapore e delle ferrovie 1829
Era dell'acciaio, dell'elettricità e dell'ingegneria pesante 1875
Era del petrolio, dell'automobile e della produzione di massa 1908
Era dell'informatica e delle telecomunicazioni 1971
https://it.wikipedia.org/wiki/Onde_di_KondratievLa tua domanda UnDodicesimo è malposta.
Ossia non c'è una "messa in pratica" in rapporto al fine-ciclo perché la teoria della crisi è una teoria analitica, descrive cioè unicamente una tendenza economica del capitalismo.
Sul da farsi tocca vedere lo stato dei concreti rapporti di forza sociali e politici.
Marx era un materialista, non un'idealista. Quindi pur realizzando astrazioni teorico-analitiche, sul da farsi guardava alla storia.
In alcuni casi puoi avere spinte progressive-rivoluzionarie se i rapporti di forza sono vantaggiosi, in altri casi l'esatto opposto (come oggi).
Sul rapporto non deterministico tra economia e storia ti consiglio "il dibattito Brenner" (
https://www.amazon.it/dibattito-Agricoltura-economico-nellEuropa-preindustriale/dp/8806114417), dibattito storiografico sul passaggio feudalesimo-capitalismo che centra proprio il tema.