La questione statua di Montanelli è un bel campo di battaglia simbolica, in cui i difensori (tutti maschi, come fa notare giustamente Francesca Coin) non hanno ormai più armi dialettiche.
Difendere la statua di Montanelli in questo momento vuol dire difendere il razzismo, la cultura dello stupro, un fascismo mai veramente abiurato. Qualunque scappatoia è impossibile: il frame linguistico di un dibattito non lo decidiamo noi.
L'articolo del 2000 in cui Montanelli rivendica tutta la violenza e lo sprezzo nei confronti di Destà è l'elefante di Lakoff. Ogni volta che provi a non pensarci, quello barrisce più forte.
Il Montanelli gambizzato dalle Br, il Montanelli arguto osservatore della società italiana, il Montanelli uomo libero nei confronti di Berlusconi non scompaiono certo, ma non occupano più il centro della scena, e non tolgono di mezzo il Montanelli simbolo di razzismo, cultura dello stupro, e criptofascismo.
Anzi, questa battaglia simbolica fa qualcosa in più: mostra come si può essere grandi penne, liberali, arguti, vittime di un attentato, ma anche razzisti, colonialisti, stupratori, criptofascisti, e come nella società italiana questi due atteggiamenti abbiano potuto pacificamente coesistere e possano pacificamente coesistere.
Il problema che solleva chi mette in discussione i simboli è proprio questo "pacificamente". E fa bene Coin a mostrare come tra le schiere ogni giorno più nutrite di difensori della statua di Montanelli non ci siano praticamente donne, e la ragione semplice è che la cultura dello stupro, il maschilismo, il razzismo, sono tollerati in un contesto di dibattito pubblico in cui l'egemonia dei maschi bianchi over 60 è quasi un monopolio.
Per cui è interessante che questo dibattito resti aperto, che anzi si allarghi. Perché le difese d'ufficio, le argomentazioni di queste difese di ufficio sgranano ogni volta altre questioni.
Quando si dice "La statua che nemmeno lui avrebbe voluto" (Repubblica e Travaglio) per esempio si tocca un vertice di debolezza argomentativa che mostra proprio l'impotenza ridicola di una cultura maschilista e tollerante con il fascismo e il razzismo. Il punto non è certo se Montanelli, in uno slancio di pudore avrebbe declinato, la statua (tra l'altro chi è che vuole che si facciano delle statue di sé, in vita?); il punto è che Montanelli come chiunque lo difende oggi non vuole che si tocchi proprio il punto che quella statua imbrattata sta a significare: che ne facciamo della cultura dello stupro nella nostra società?, che ne facciamo della brutale storia coloniale italiana?, che ne facciamo dei cascami ponderosi dell'ideologia fascista che giustifica ancora oggi forme di maschilismo così potenti?
Tutto il resto - e allora il Colosseo, e allora Via col vento, e allora le Br - è benaltrismo. Possiamo amare il Colosseo e abbiamo studiato cosa voleva dire la cultura imperialista romana, apprezzare Via col vento pur sapendo di quanto razzismo fosse intriso, condannare qualunque ritorno al brigatismo, e proprio per questo possiamo tenere aperto questo dibattito e prendercela con dei simboli di violenza sessista, fascista, e razzista.
Christian Raimo