Pasolini è uno dei maggiori intellettuali italiani dell'ultimo secolo, praticamente uno dei pochissimi di livello internazionale, un personaggio talmente complesso e complicato che viene ormai usato da destra e da manca, buono per tutte le tirate polemiche utili.
E allora è stato il cantore di certa sinistra comunista che lo piange ancora inconsolabile, salvo dimenticare che fu espulso dal PICCI negli anni 50 (perché personaggio veramente troppo scomodo), e poi è stato utilizzato dai cantori di certa destra tutta legge e ordine che prende a pretesto (appena una trentina d'anni dopo) la poesia di Valle Giulia per inneggiare ai poliziotti che manganellano i blac bloc e non solo a Genova.
E poi si arriva ad oggi, al culto della sconfitta, all'esaltazione della virtù che emerge nei momenti in cui le Coppe ti passano davanti senza fermarsi e allora perché non scomodare Pasolini? Lo stesso che scorrrazzava per la periferia romana a tirare calci tra sfasciacarrozze ed alimentari, tra i palazzoni dei palazzinari e con i ragazzi di borgata. Il calcio del resto era (e lo è ancora?) sport popolare e allora si poteva e si doveva giocare tra Torre Spaccata e Tiburtino III in mezzo alla strada con il cielo come copertura naturale.
Si, bello, tutto vero, tutto incontestabile. Ma a Shangai non si è giocata una partita amatoriale tra i Bombacini e il Bar Claudio. No, tutto diverso, tutta roba che a Pasolini, Pier Paolo, il regista, lo scrittore, il poeta, l'intellettuale contro, talmente contro che (lo si può dire senza tema di smentita) stava sulle palle a tutti, ma proprio a tutti (non l'icona alla Che Guevara ormai fossilizzata nel subconscio degli italiani), non gliene poteva fregare di meno. In terra di Cina si è giocato uno sport professionistico, con la diretta TV, milioni di euro e di telespettatori, e poi ancora sponsors e cotillons, tutta roba che a Pier Paolo faceva letteralmente schifo.
Non c'entra niente la cultura della sconfitta, perché come laziali, tutti i laziali, avrebbero voluto soltanto una cosa: VINCERE.
E lasciamo stare Pier Paolo Pasolini. Per lui il calcio era questo e niente altro. E, molto modestamente, per me pure.
