Non si parla d'altro, e grazie a dio fra qualche ora sarà il pallone a mettere da parte le discussioni pseudo-bipartisan sul veleno del calcio a Roma.
Ma siccome una opinione non si nega a nessuno, e a leggere gli articoli in rassegna non si vede proprio l'ombra di una analisi men che superficiale, non mi nego la mia e la condivido qui.
Non conosco la storia di Boca e River, non mi interesso molto dei derby della Ruhr, non so che accade nei Balcani. Ma in Italia quello che accade a Roma è unico, è questo è fuor di dubbio.
Che i romani siano di gran lunga cittadini peggiori di milanesi e genovesi lo escludiamo subito, perché l'idiozia non ha frontiere, quindi i motivi sono altri e per me ce n'è uno e uno soltanto, il più semplice: quando invece di riconoscere un avversario, accettare un nemico, tu sei nato, ti hanno creato con la sua eliminazione totale come parte centrale del disegno della tua stessa nascita, il fallimento di questa operazione stabilisce una dinamica di "o noi o loro" che non esiste altrove in Italia.
L'aver sopravvissuto all'orrido progetto di unificazione fascista del 1927 malgrado pressioni indicibili ha creato le basi per una relazione malsana. Da una parte la rabbia di dover accettare la nostra semplice esistenza, l'aver rigettato con successo il tentato stupro, l'essere stati capaci di un atto di ribellione al potere. Dall'altra la difesa costante della propria esistenza, il dormire sempre con un occhio aperto e la pistola sotto il cuscino, l'estrema sensibilità agli attacchi, il sentirsi sempre sotto minaccia e le sue conseguenti reazioni nervose, rabbiose, scomposte.
Crescendo si sentiva "aoo anvedi er lazialotto!", mai il contrario. Era inconcepibile. Avevano creato una realtà in cui noi, squadra di Roma, nati per amore dello sport e fieri dello spirito che ci animava, dovevamo sentirci ospiti in casa propria e nasconderci nelle nostre catacombe. Questo malgrado i colpi di coda che ci siamo permessi in particolare grazie a Chinaglia e Cragnotti.
Certo che c'è odio a Roma come da nessuna altra parte, e la ragione è semplice. È l'unica città dove un club ha nel DNA la sparizione fisica dell'altro, e usa i grandissimi mezzi a sua disposizione (stampa, TV, cinema) per scrivere questa trama che non si è verificata per un incidente chiamato Vaccaro. E l'altro reagisce in modo scomposto e violento.
Chi non capisce questo passa il tempo a scrivere articoli come quelli che si leggono oggi, cercando inutilmente di equilibrare Zaniolo con Marione, Rocca con Gascoigne, Paparelli con non si sa cosa.
Se non capite che l'odio nasce dal fatto che questo sogno infranto di unicità cittadina non è stato mai abbandonato completamente, anche solo inconsciamente, che si esprime in un bisogno - come risultato minimo se la cancellazione proprio non è possibile - di sopprimere violentemente l'avversario, umiliarlo inventando trofei, supremazie, statistiche, fascismi, purificando le loro storie di Rolex, Vautrot, passaporti e omicidi, creando storie che non esistono, se non si capisce tutto questo non si spiega l'odio e non si capisce perché il laziale vive in un bunker dal quale uscirebbe volentieri.
Il laziale è colpevole di reazioni violente ai tentativi quasi secolari di annientamento. Se questa dinamica non cambia, l'ambiente romano non cambierà mai. E c'è solo una parte che può cambiare, quella meno equipaggiata intellettualmente, storicamente e psicologicamente per fare un passo indietro.
romammerda e magari morono gonfi.