Guerra in Medio Oriente

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Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1140 il: 12 Ott 2023, 10:25 »
Ti stavo dicendo che è una domanda del cazzo. Adesso ci poniamo il problema di come evitare la presa di Gaza?
Tutto qui, ma capisco che per te sia più alla tua portata chiudere il tutto con:
"vagheggia dell’Occidente cattivo"

Infatti meglio pensare che l'occidente e' buono e culla della democrazia esportabile nel resto del mondo (magari con le bombe)
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1141 il: 12 Ott 2023, 10:38 »
Attenzione però, la questione che pone Aquila è, secondo me, LA QUESTIONE.
Che prescinde da qualsiasi sia il giudizio e l'analisi delle ragioni che hanno portato a questa situazione.
Ora, adesso, cosa succede ?

Offline vaz

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54691
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1142 il: 12 Ott 2023, 10:39 »
stermineranno i palestinesi sotto gli occhi festanti dell'occidente.
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1143 il: 12 Ott 2023, 10:47 »
Dovrebbero “sterminare” Hamas e salvaguardare i Palestinesi.
Il punto è come.
Favorendo corridoi umanitari, passando così “dalla parte della ragione”.
Cercando di dividere  la gente comune palestinese che magari non ne può più di Hamas, dall’organizzazione stessa di Hamas.
Cercando di nuovo un referente forte e credibile come ai tempi di Arafat.
Sono troppo ingenuo e superficiale , lo so.
Credo che gli israeliani sappiano che se colpiscono alla cieca, per ogni persona uccisa a Gaza,  creeranno 10 futuri terroristi.

Offline vaz

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54691
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1144 il: 12 Ott 2023, 10:51 »
I palestinesi non ne hanno più di Israele. Israele non ha alcun interesse a salvare i Palestinesi.

Offline TomYorke

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11494
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1145 il: 12 Ott 2023, 10:57 »
Attenzione però, la questione che pone Aquila è, secondo me, LA QUESTIONE.
Che prescinde da qualsiasi sia il giudizio e l'analisi delle ragioni che hanno portato a questa situazione.
Ora, adesso, cosa succede ?

Non ha alcun senso porsi questa domanda.
Avverrà quello che avverrà con i rapporti di forza costruiti per decenni con il benestare di tutti.
Parlarne come se ora si potesse far qualcosa per "evitare quello che signora mia che dolore assistere a tutto questo" è ipocrita.

Offline Tarallo

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111509
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1146 il: 12 Ott 2023, 10:59 »
Come se ne esce? Non ne vogliono uscire pacificamente, intanto perché se volessero farlo avrebbero rispettato le risoluzioni dell’Onu, secondo perché per loro Hamas, essendo terroristi, non sono interlocutori degni e li escludono dal tavolo delle trattative.
Siccome il loro scopo è sdraiare la Palestina tutta e prendersela, invece di fare come hanno fatto in Irlanda, e cioè trattare con i terroristi, loro si appoggeranno alla propaganda che disegna tutti i palestinesi come assassini nati* e quindi gente con cui non si tratta.

*italic, ecco perché parlare di come si sia arriverò qui è imprescindibile. Perché la storia è l’unico modo per capire che i palestinesi non nascono cattivi, ma alla fine lo sono diventati.

Offline pentiux

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18583
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1147 il: 12 Ott 2023, 11:02 »
Favorendo corridoi umanitari, passando così “dalla parte della ragione”.
Ma corridoi umanitari verso dove? Chi se li accolla?

Cercando di nuovo un referente forte e credibile come ai tempi di Arafat.
Fatah è del tutto delegittimata, e Israele tutto vuole tranne spostare i Gazawi in West Bank vista la situazione...

Credo che gli israeliani sappiano che se colpiscono alla cieca, per ogni persona uccisa a Gaza,  creeranno 10 futuri terroristi.
Credo che purtroppo siamo già oltre e Israele consideri ogni palestinese o quasi un terrorista attuale non futuro.

Offline Warp

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10115
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1148 il: 12 Ott 2023, 11:09 »
Oggi sul corriere è uscita questa analisi molto approfondita e interessante da parte di uno dei massimi conoscenti della questione

La «trappola» di Hamas e Iran a Israele e cosa dovrebbe fare Israele per evitarla, secondo Friedman
di Gianluca Mercuri

Se Israele farà un strage a Gaza, farà esattamente quello che si aspettano e desiderano i suoi peggiori nemici: Hamas e l’Iran. Sarà inevitabilmente una strage di bambini, perché nella Striscia oltre metà della popolazione ha meno di 18 anni, il 40% meno di 14. I bambini superano abbondantemente il milione e colpire massicciamente Gaza vuol dire colpire certamente i civili e massicciamente i bambini. Se, come ormai pare probabile, Israele farà questa scelta, il suo sarà un autogol morale. Ma se la questione morale va facilmente in secondo piano quando si combatte per la propria sopravvivenza, è l’autogol politico che dovrebbe preoccupare Israele e chi la ama davvero. L’autogol politico è quello che hanno architettato i suoi nemici. E Israele sta cadendo nella trappola.

Queste cose le scrive Thomas Friedman, che dovrebbe essere la bussola morale e politica di chiunque si avventuri a scrivere un articolo sul conflitto israelo-palestinese. Non solo perché quel conflitto il grande giornalista americano lo conosce meglio di chiunque, avendolo seguito sul campo per tutta la vita, ma anche perché è un esempio di come la passione debba sempre animare questo mestiere. E passione vuol dire (anche) non nascondere cosa si pensa ma argomentarlo con onestà e conoscenza dei fatti. Anche Tom Friedman ha Israele nella sua biografia e — inossidabilmente — nel cuore: ha passato la gioventù nei kibbutz come quelli profanati dalla violenza jihadista. Ma Tom Friedman ha dei valori precisi, non mescola mai i fatti a suo piacimento, non omette parti di verità. La verità la conosce e non si improvvisa tuttologo. Per questo il suo mix di passione e conoscenza dovrebbe essere di esempio a ogni commentatore. Ma siccome questo è un auspicio troppo ottimistico, perlomeno Tom Friedman ci aiuta a disintossicarci dal mix di cinismo e ignoranza dei fatti che contraddistingue molti commenti italici. Tom Friedman è un diboscatore, un debunker che elimina gli errori di programmazione di certa pubblicistica, che programma più propaganda che informazione.

Facciamoci quindi guidare da questo grande giornalista, un ebreo americano liberal, progressista, con Israele davvero nel cuore. Punto per punto.

• Il paragone storico
«Mi occupo di questo conflitto da quasi 50 anni e ho visto israeliani e palestinesi fare molte cose terribili gli uni agli altri: attentatori suicidi palestinesi che fanno saltare in aria discoteche e autobus israeliani; caccia israeliani che colpiscono quartieri di Gaza che ospitano combattenti di Hamas, ma che causano anche ingenti vittime tra i civili. Ma non ho mai visto qualcosa di simile a ciò che è accaduto lo scorso fine settimana: singoli combattenti di Hamas che radunano uomini, donne e bambini israeliani, li guardano negli occhi, li uccidono e, in un caso, fanno sfilare una donna nuda per Gaza al grido di “Allahu akbar”».

Friedman paragona il massacro compiuto dagli islamisti palestinesi il 7 ottobre a quello subito dai palestinesi laici nel 1982, nei campi profughi libanesi di Sabra e Chatila, quando circa 3.500 persone furono trucidate dalle milizie cristiano-maronite, con l’esercito israeliano che le fece entrare e dall’alto illuminò i campi per facilitare il lavoro. Scrive dunque: «Pur non facendomi illusioni sull’impegno di lunga data di Hamas per la distruzione dello Stato ebraico, mi chiedo oggi: da dove viene questo impulso simile a quello dell’Isis per l’omicidio di massa come obiettivo primario? Non la conquista del territorio, ma il semplice omicidio? C’è qualcosa di nuovo che è importante capire».

•Il fattore saudita
La spiegazione è l’avvicinamento in corso tra Israele e Arabia Saudita, che decreterebbe — stavolta davvero — la fine di ogni speranza di autodeterminazione per i palestinesi. «Sebbene questa operazione sia stata sicuramente pianificata dai leader di Hamas mesi fa, credo che le sue origini emotive possano essere spiegate in parte da una fotografia apparsa sulla stampa israeliana il 3 ottobre. Alcuni ministri del governo israeliano si erano recati a Riad, in Arabia Saudita, per la loro prima visita ufficiale in assoluto, per partecipare a conferenze internazionali tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, e la stampa israeliana ne ha parlato molto».

Nella foto, si vede un delegato israeliano alla conferenza delle Nazioni Unite sulle poste in corso nella capitale saudita. È in una pausa di preghiera, con addosso il tradizionale scialle ebraico e la kippah, e regge un rotolo della Torah. Dalla finestra, spunta lo skyline di Riad.

«Per gli ebrei israeliani, questa foto è un sogno che si avvera, la massima dimostrazione che si è finalmente stati accettati in Medio Oriente, più di un secolo dopo l’inizio del movimento sionista per costruire un moderno Stato democratico nella patria biblica del popolo ebraico. Poter pregare con una Torah in Arabia Saudita, luogo di nascita dell’Islam e sede delle sue due città più sacre, La Mecca e Medina, è un livello di accettazione che tocca l’anima di ogni ebreo israeliano».

Per i palestinesi, soprattutto quelli affiliati ai movimenti islamisti, ma non solo per loro, quella foto ha il significato esattamente contrario: la fine della loro causa, che anche il più influente Stato arabo — l’epicentro dell’Islam sunnita, il Paese che custodisce i luoghi santi, l’alleato di cui l’America ha provato a fare a meno senza riuscirci — decide di smettere di difendere per coltivare il proprio esclusivo interesse geopolitico ed economico, quello di una normalizzazione dei rapporti con l’eterno nemico sionista. E dunque, è anche il trionfo di Benjamin Netanyahu, la realizzazione del suo progetto più importante: «Dimostrare a tutti i detrattori, anzi sbattere loro in faccia, che può fare la pace con tutti gli Stati arabi — persino con l’Arabia Saudita — senza dover cedere un solo centimetro di terra ai palestinesi».

È — sarebbe — il completamento del disegno del sionismo revisionista, la corrente di destra del movimento nazionale ebraico. La prima tappa era stata realizzata dall’antenato politico di Netanyahu, Menachem Begin, capace alla fine degli anni ‘70 di fare la pace con l’Egitto, la nazione araba militarmente più potente e minacciosa. Pace separata, raggiunta marginalizzando i palestinesi e proseguendo nel frattempo l’annessione strisciante degli ultimi territori rimasti sotto i loro piedi, attraverso una colonizzazione sempre più massiccia. Un disegno proseguito con l’altro Paese chiave, la Giordania, sulla spinta degli illusori Accordi di Oslo, quelli con cui i palestinesi speravano di ottenere il loro Stato. E arrivato fino agli anni nostri con la regia di Donald Trump, gli «Accordi di Abramo» con Emirati arabi e Bahrein.

Dunque Netanyahu voleva — vuole — sublimare questo percorso e «dimostrare a tutti che Israele può avere la sua torta — accettata da tutti gli Stati arabi circostanti — e mangiare anche il territorio dei palestinesi». Nota bene: sarebbe un pasto definitivo. I sauditi, ancora nel 2002, avevano proposto a Israele una pace vera, che cioè coinvolgesse anche i palestinesi: rinuncia a una parte significativa dei Territori conquistati nel 1967 e nascita di una Palestina indipendente, in cambio del riconoscimento dello Stato ebraico da parte di tutti i Paesi arabi. Pace vera, pace in cambio di terra, definitiva, non pace finta, alle spalle dei palestinesi. Finta perché, com’era già evidente prima del 7 ottobre, prima o poi i palestinesi si ribellano, e di imprevedibile c’è solo la modalità.

• Il disegno di Hamas
Ecco dunque la mossa sconvolgente del movimento islamista, la carneficina che nessuno si aspettava. Siamo al passaggio decisivo del ragionamento di Friedman, che tutti i commentatori italiani dovrebbero stamparsi in mente: «Credo che uno dei motivi per cui Hamas non solo ha lanciato ora questo assalto, ma ha anche apparentemente ordinato che fosse il più omicida possibile, sia stato quello di scatenare una reazione eccessiva di Israele, come un’invasione della Striscia di Gaza, che avrebbe portato a massicce vittime civili palestinesi e in questo modo avrebbe costretto l’Arabia Saudita a fare marcia indietro dall’accordo mediato dagli Stati Uniti». Non solo i sauditi: la contro-carneficina metterebbe a rischio anche gli Accordi di Abramo.

Era questa, dunque, «l’essenza del messaggio di Hamas a Netanyahu e alla sua coalizione di governo di estrema destra, composta da suprematisti ebrei e ultraortodossi: non sarete mai a casa vostra, non importa quanta terra vi venderanno i nostri fratelli arabi del Golfo. Vi costringeremo a perdere la testa e a fare cose folli a Gaza che costringeranno gli Stati arabi a evitarvi».

C’è poi il lato che ricorda davvero gli assassini del Bataclan: come quelli, Hamas ha colpito l’anima progressista di Israele, la più lontana dagli integralisti, la più attraente per i palestinesi che vorrebbero una vita normale, senza nemici che ti privano della terra e senza fanatici che ti privano della libertà: a subire l’assalto terroristico sono state «le case degli abitanti dell’Israele pre-1967, dell’Israele democratica, dell’Israele progressista, che viveva in kibbutz pacifici o andava a una festa in discoteca, la tipica festa di chi ama la vita», ha detto al giornalista lo scrittore Ari Shavit. In questo senso, per Hamas «la sola esistenza di Israele è una provocazione».

•La domanda che Israele dovrebbe farsi
È semplicemente questa:

«Cosa vogliono che faccia i miei peggiori nemici e come posso fare il contrario?».

Stamparsi anche la risposta, per favore: «Ciò che vogliono i peggiori nemici di Israele — Hamas e l’Iran — è che Israele entri a Gaza e si impegoli in un’invasione strategica che farebbe sembrare il coinvolgimento dell’America a Falluja (la città irachena che costrinse le forze Usa a durissimi combattimenti tra il 2003 e il 2004, ndr) una festa di compleanno per bambini. Stiamo parlando di combattimenti casa per casa che minerebbero qualsiasi simpatia Israele abbia raccolto sulla scena mondiale, distogliendo l’attenzione del mondo dal regime omicida di Teheran e costringendo Israele a estendere le sue forze per occupare permanentemente Gaza e la Cisgiordania. Hamas e l’Iran non vogliono assolutamente che Israele si astenga dall’entrare a Gaza in profondità o a lungo».

•Il fattore Autorità nazionale palestinese
La screditata entità nata dagli Accordi di Oslo e rimasta una crisalide incompiuta, una patria ridotta allo Stato larvale, un non-Stato: ecco l’altro obiettivo della strage di sabato. Hamas sapeva che, nel suo realismo disperato, l’Anp era pronta ad accettare la pace tra Israele e i sauditi, ma in cambio di concessioni di un qualche significato da parte di Israele, e su cui l’ultradestra aveva già sbarrato la strada a Netanyahu. Il classico gioco in cui gli opposti estremismi — i fascisti teocratici delle due parti — si danno una mano. Ma Netanyahu — che pure è la migliore destra israeliana possibile — non è innocente nemmeno qui. Friedman: «Ha sempre preferito trattare con un Hamas ostile a Israele piuttosto che con il suo rivale, l’Autorità palestinese più moderata, che ha fatto di tutto per screditare, anche se l’Anp ha lavorato a lungo a stretto contatto con i servizi di sicurezza israeliani per mantenere la Cisgiordania tranquilla, e Netanyahu lo sa».

L’analisi è di una nitidezza meravigliosa: «Netanyahu non ha mai voluto che il mondo credesse che esistono “palestinesi buoni” pronti a vivere in pace accanto a Israele e a cercare di coltivarli. Per anni ha sempre voluto dire ai presidenti degli Stati Uniti: Cosa volete da me? Non ho nessuno con cui parlare da parte palestinese». Lo ha scritto bene anche Chuck Freilich, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale israeliana, in un saggio pubblicato domenica su Haaretz: «Per un decennio e mezzo il primo ministro ha cercato di istituzionalizzare la divisione tra la Cisgiordania e Gaza, di minare l’Autorità palestinese, e di condurre una cooperazione de facto con Hamas, il tutto per dimostrare l’assenza di un partner palestinese e per garantire che non ci potesse essere un processo di pace che avrebbe potuto richiedere un compromesso territoriale in Cisgiordania».

•Democrazia contro teocrazia
Il presidente Biden deve dire a Netanyahu che l’America «farà tutto il possibile per aiutare la democratica Israele a difendersi dai fascisti teocratici di Hamas e dai loro fratelli di anima di Hezbollah in Libano, se dovessero entrare in lotta. Ma in cambio Netanyahu deve ricollegarsi all’Israele democratica e liberale, in modo che il mondo e la regione vedano questa non come una guerra di religione, ma come una guerra tra la prima linea della democrazia e la prima linea della teocrazia. Ciò significa che Netanyahu deve cambiare il suo gabinetto, espellere i fanatici religiosi e creare un governo di unità nazionale con Benny Gantz e Yair Lapid». Proprio oggi, il premier ha seguito il suggerimento ma solo in parte: dentro Gantz — che farà parte con lui e con il ministro della Difesa Gallant del Consiglio di sicurezza, quello che farà le scelte decisive sulla guerra — ma non Lapid, che chiedeva la cacciata totale dell’ultradestra. Il che sembra dare ragione a Friedman (anche) quando scrive che «purtroppo Netanyahu continua a dare priorità alla sua coalizione di fanatici, di cui ha bisogno per proteggersi dal suo processo per corruzione e per completare il suo colpo di Stato giudiziario, che azzererebbe la Corte Suprema di Israele. Questo è un vero pasticcio» .

•Cosa ha distratto Israele
A distrarla è stato proprio il «colpo giudiziario», contro il quale si è sollevata (democraticamente) gran parte delle forze armate: «Vi assicuro che se e quando ci sarà un’inchiesta su come l’esercito israeliano abbia potuto non accorgersi di questo rafforzamento di Hamas, gli investigatori scopriranno che i vertici dell’esercito israeliano hanno dovuto dedicare così tanto tempo a evitare che i piloti e gli ufficiali di riserva dell’aeronautica boicottassero il loro servizio per protestare contro il colpo di stato giudiziario di Netanyahu, per non parlare del tempo, dell’attenzione e delle risorse che hanno dovuto dedicare a impedire ai coloni estremisti e ai fanatici religiosi di fare cose folli a Gerusalemme e in Cisgiordania, che hanno distolto lo sguardo dalla palla».

•Il meglio e non il peggio
Che cosa si può aggiungere a queste note così limpide e veritiere? Altre note limpide e veritiere, perché questo articolo è un pozzo inesauribile. Conclude infatti Tom Friedman: «L’America non può proteggere Israele nel lungo periodo dalle minacce reali che deve affrontare, a meno che Israele non abbia un governo che rifletta il meglio, e non il peggio, della sua società, e a meno che questo governo non sia pronto a cercare di forgiare compromessi con il meglio, e non il peggio, della società palestinese».

Offline vaz

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54691
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1149 il: 12 Ott 2023, 11:12 »
Credo che purtroppo siamo già oltre e Israele consideri ogni palestinese o quasi un terrorista attuale non futuro.

https://twitter.com/lostarec/status/1712134803825348976?s=46&t=GW6nX4XS3fUTAf5Bapqwzg
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1150 il: 12 Ott 2023, 11:26 »
*italic, ecco perché parlare di come si sia arriverò qui è imprescindibile. Perché la storia è l’unico modo per capire che i palestinesi non nascono cattivi, ma alla fine lo sono diventati.

Pero' non è che ponendo la domanda si vuole negare, almeno per come la intendo io, una riflessione sulle cause. Ma la domanda, nella sua crudezza, ce la dobbiamo fare. La risposta deve essere cruda anch'essa.
Questo conflitto millenario ha ormai prodotto radici profonde dell'odio che nessuno ricorda neanche come sia iniziato. Tutti hanno preciso, in mente, come è cresciuto, come si è è evoluto, passando per il grand mufti di Gerusalemme ricevuto in pompa magna a Berlino nel 1941 fino all'occupazione dei territori, l'intifada, Sabra e Chatila, e chi più ne ha più ne metta. La faida più lunga della storia.
Ora, adesso, cosa succede ? Qualcuno, qui dentro, l'altro giorno ha scritto che Israele ha vinto.
E quindi ? Cosa farà Israele ?
Io credo che se c'è un briciolo di possibilità, per la comunità internazionale, di riprendere il controllo della situazione è solo e soltanto attraverso questa risposta. Ma cruda.



Offline mr_steed

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6304
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1151 il: 12 Ott 2023, 11:35 »
nel frattempo, in attesa di sapere cosa accadrà, succede questo...

Nove membri dello staff Onu morti nei raid aerei israeliani.
L’allarme di un medico MSF: «Gli ospedali di Gaza hanno pochi giorni di autonomia»


https://www.open.online/2023/10/11/striscia-gaza-aggiornamenti-11-ott/

«I civili di Gaza vivono un’impotenza difficile da descrivere e sono destinati a rimanere lì, sperando che la bomba successiva non cada sulla loro casa, ma di lato, e non li uccida», ha denunciato oggi Fabrizio Carboni, della Croce Rossa Internazionale

c'è da dire però che, uccidendo praticamente chiunque all'interno della striscia, che siano miliziani di hamas, civili palestinesi inermi o responsabili di organizzazioni internazionali, questi bombardamenti sono molto "democratici": non li si potrà accusare di uccidere esclusivamente la popolazione palestinese...

Offline FatDanny

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37272
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1152 il: 12 Ott 2023, 11:59 »
Attenzione però, la questione che pone Aquila è, secondo me, LA QUESTIONE.
Che prescinde da qualsiasi sia il giudizio e l'analisi delle ragioni che hanno portato a questa situazione.
Ora, adesso, cosa succede ?

Se ne esce come i nativi negli USA. Riserve simboliche e il resto espulsi.
È sempre stato questo. E chi ha parlato di altro, volontariamente o meno, ha sempre favorito questo esito. Come quelli della terza via blairiana hanno sempre favorito il neoliberismo a prescindere dalle illusioni.

L'esito opposto, ad oggi improponibile, era lo scenario algerino rispetto alla Francia. Una lotta decoloniale che avrebbe portato all'espulsione politica del colonialista e l'integrazione di chi voleva in uno stato laico. Questo scenario oggi è inesistente, resta solo il primo.
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1153 il: 12 Ott 2023, 12:09 »
Oggi sul corriere è uscita questa analisi molto approfondita e interessante da parte di uno dei massimi conoscenti della questione

La «trappola» di Hamas e Iran a Israele e cosa dovrebbe fare Israele per evitarla, secondo Friedman
di Gianluca Mercuri


Molto interessante
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1154 il: 12 Ott 2023, 12:18 »
Se ne esce [...]

La domanda di Aquila era piuttosto "Cosa succede ora ?", non "come se ne esce ?". Almeno in questa chiave la trovo interessante. La differenza semantica secondo la rende interessante. O almeno non sterile.
La faccio semplice, a mio avviso l'ipocrisia occidentale non si riesce più a contrastarla con le argomentazioni del perché e del percome(tutte profondamente condivisibili, almeno per quanto mi riguarda). Proviamo con il pragmatismo. Con la praxis (So che mi butto in terreno minato con te, famo che m'hai capito :) ).
Facciamoli vedere questi cingolati israeliani che entrano a Gaza e schiacciano tutto quello che respira.
Mettiamoli in prime time i bombardamenti su Gaza. Con Amadeus che conduce. Ma descriviamone veramente gli effetti.
Ieri in un talk show seguitissimo qui in Francia un esperto di strategia militare parlava per decine di minuti su come l'esercito israeliano potesse operare con più facilità tra le strade di Gaza bombardate a tappeto mentre scorrevano le immagini, appunto, di Gaza distrutta dove non resta in piedi neanche un lampione. E io mi chiedevo, ma PD (ognuno il suo), ma davvero davanti a queste immagini il problema è su come possono intervenire i soldati israeliani e non la gente che ci viveva dentro ? Una popolazione con un'età media di 18 anni.
Per questo oggi, secondo me, è importante sapere "cosa succede ora ?".
Si, anch'io penso che lo scenario più plausibile sia quello che descrivi.
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1155 il: 12 Ott 2023, 14:34 »
Oggi sul corriere è uscita questa analisi molto approfondita e interessante da parte di uno dei massimi conoscenti della questione

La «trappola» di Hamas e Iran a Israele e cosa dovrebbe fare Israele per evitarla, secondo Friedman
di Gianluca Mercuri

Se Israele farà un strage a Gaza, farà esattamente quello che si aspettano e desiderano i suoi peggiori nemici: Hamas e l’Iran. Sarà inevitabilmente una strage di bambini, perché nella Striscia oltre metà della popolazione ha meno di 18 anni, il 40% meno di 14. I bambini superano abbondantemente il milione e colpire massicciamente Gaza vuol dire colpire certamente i civili e massicciamente i bambini. Se, come ormai pare probabile, Israele farà questa scelta, il suo sarà un autogol morale. Ma se la questione morale va facilmente in secondo piano quando si combatte per la propria sopravvivenza, è l’autogol politico che dovrebbe preoccupare Israele e chi la ama davvero. L’autogol politico è quello che hanno architettato i suoi nemici. E Israele sta cadendo nella trappola.

Queste cose le scrive Thomas Friedman, che dovrebbe essere la bussola morale e politica di chiunque si avventuri a scrivere un articolo sul conflitto israelo-palestinese. Non solo perché quel conflitto il grande giornalista americano lo conosce meglio di chiunque, avendolo seguito sul campo per tutta la vita, ma anche perché è un esempio di come la passione debba sempre animare questo mestiere. E passione vuol dire (anche) non nascondere cosa si pensa ma argomentarlo con onestà e conoscenza dei fatti. Anche Tom Friedman ha Israele nella sua biografia e — inossidabilmente — nel cuore: ha passato la gioventù nei kibbutz come quelli profanati dalla violenza jihadista. Ma Tom Friedman ha dei valori precisi, non mescola mai i fatti a suo piacimento, non omette parti di verità. La verità la conosce e non si improvvisa tuttologo. Per questo il suo mix di passione e conoscenza dovrebbe essere di esempio a ogni commentatore. Ma siccome questo è un auspicio troppo ottimistico, perlomeno Tom Friedman ci aiuta a disintossicarci dal mix di cinismo e ignoranza dei fatti che contraddistingue molti commenti italici. Tom Friedman è un diboscatore, un debunker che elimina gli errori di programmazione di certa pubblicistica, che programma più propaganda che informazione.

Facciamoci quindi guidare da questo grande giornalista, un ebreo americano liberal, progressista, con Israele davvero nel cuore. Punto per punto.

• Il paragone storico
«Mi occupo di questo conflitto da quasi 50 anni e ho visto israeliani e palestinesi fare molte cose terribili gli uni agli altri: attentatori suicidi palestinesi che fanno saltare in aria discoteche e autobus israeliani; caccia israeliani che colpiscono quartieri di Gaza che ospitano combattenti di Hamas, ma che causano anche ingenti vittime tra i civili. Ma non ho mai visto qualcosa di simile a ciò che è accaduto lo scorso fine settimana: singoli combattenti di Hamas che radunano uomini, donne e bambini israeliani, li guardano negli occhi, li uccidono e, in un caso, fanno sfilare una donna nuda per Gaza al grido di “Allahu akbar”».

Friedman paragona il massacro compiuto dagli islamisti palestinesi il 7 ottobre a quello subito dai palestinesi laici nel 1982, nei campi profughi libanesi di Sabra e Chatila, quando circa 3.500 persone furono trucidate dalle milizie cristiano-maronite, con l’esercito israeliano che le fece entrare e dall’alto illuminò i campi per facilitare il lavoro. Scrive dunque: «Pur non facendomi illusioni sull’impegno di lunga data di Hamas per la distruzione dello Stato ebraico, mi chiedo oggi: da dove viene questo impulso simile a quello dell’Isis per l’omicidio di massa come obiettivo primario? Non la conquista del territorio, ma il semplice omicidio? C’è qualcosa di nuovo che è importante capire».

•Il fattore saudita
La spiegazione è l’avvicinamento in corso tra Israele e Arabia Saudita, che decreterebbe — stavolta davvero — la fine di ogni speranza di autodeterminazione per i palestinesi. «Sebbene questa operazione sia stata sicuramente pianificata dai leader di Hamas mesi fa, credo che le sue origini emotive possano essere spiegate in parte da una fotografia apparsa sulla stampa israeliana il 3 ottobre. Alcuni ministri del governo israeliano si erano recati a Riad, in Arabia Saudita, per la loro prima visita ufficiale in assoluto, per partecipare a conferenze internazionali tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, e la stampa israeliana ne ha parlato molto».

Nella foto, si vede un delegato israeliano alla conferenza delle Nazioni Unite sulle poste in corso nella capitale saudita. È in una pausa di preghiera, con addosso il tradizionale scialle ebraico e la kippah, e regge un rotolo della Torah. Dalla finestra, spunta lo skyline di Riad.

«Per gli ebrei israeliani, questa foto è un sogno che si avvera, la massima dimostrazione che si è finalmente stati accettati in Medio Oriente, più di un secolo dopo l’inizio del movimento sionista per costruire un moderno Stato democratico nella patria biblica del popolo ebraico. Poter pregare con una Torah in Arabia Saudita, luogo di nascita dell’Islam e sede delle sue due città più sacre, La Mecca e Medina, è un livello di accettazione che tocca l’anima di ogni ebreo israeliano».

Per i palestinesi, soprattutto quelli affiliati ai movimenti islamisti, ma non solo per loro, quella foto ha il significato esattamente contrario: la fine della loro causa, che anche il più influente Stato arabo — l’epicentro dell’Islam sunnita, il Paese che custodisce i luoghi santi, l’alleato di cui l’America ha provato a fare a meno senza riuscirci — decide di smettere di difendere per coltivare il proprio esclusivo interesse geopolitico ed economico, quello di una normalizzazione dei rapporti con l’eterno nemico sionista. E dunque, è anche il trionfo di Benjamin Netanyahu, la realizzazione del suo progetto più importante: «Dimostrare a tutti i detrattori, anzi sbattere loro in faccia, che può fare la pace con tutti gli Stati arabi — persino con l’Arabia Saudita — senza dover cedere un solo centimetro di terra ai palestinesi».

È — sarebbe — il completamento del disegno del sionismo revisionista, la corrente di destra del movimento nazionale ebraico. La prima tappa era stata realizzata dall’antenato politico di Netanyahu, Menachem Begin, capace alla fine degli anni ‘70 di fare la pace con l’Egitto, la nazione araba militarmente più potente e minacciosa. Pace separata, raggiunta marginalizzando i palestinesi e proseguendo nel frattempo l’annessione strisciante degli ultimi territori rimasti sotto i loro piedi, attraverso una colonizzazione sempre più massiccia. Un disegno proseguito con l’altro Paese chiave, la Giordania, sulla spinta degli illusori Accordi di Oslo, quelli con cui i palestinesi speravano di ottenere il loro Stato. E arrivato fino agli anni nostri con la regia di Donald Trump, gli «Accordi di Abramo» con Emirati arabi e Bahrein.

Dunque Netanyahu voleva — vuole — sublimare questo percorso e «dimostrare a tutti che Israele può avere la sua torta — accettata da tutti gli Stati arabi circostanti — e mangiare anche il territorio dei palestinesi». Nota bene: sarebbe un pasto definitivo. I sauditi, ancora nel 2002, avevano proposto a Israele una pace vera, che cioè coinvolgesse anche i palestinesi: rinuncia a una parte significativa dei Territori conquistati nel 1967 e nascita di una Palestina indipendente, in cambio del riconoscimento dello Stato ebraico da parte di tutti i Paesi arabi. Pace vera, pace in cambio di terra, definitiva, non pace finta, alle spalle dei palestinesi. Finta perché, com’era già evidente prima del 7 ottobre, prima o poi i palestinesi si ribellano, e di imprevedibile c’è solo la modalità.

• Il disegno di Hamas
Ecco dunque la mossa sconvolgente del movimento islamista, la carneficina che nessuno si aspettava. Siamo al passaggio decisivo del ragionamento di Friedman, che tutti i commentatori italiani dovrebbero stamparsi in mente: «Credo che uno dei motivi per cui Hamas non solo ha lanciato ora questo assalto, ma ha anche apparentemente ordinato che fosse il più omicida possibile, sia stato quello di scatenare una reazione eccessiva di Israele, come un’invasione della Striscia di Gaza, che avrebbe portato a massicce vittime civili palestinesi e in questo modo avrebbe costretto l’Arabia Saudita a fare marcia indietro dall’accordo mediato dagli Stati Uniti». Non solo i sauditi: la contro-carneficina metterebbe a rischio anche gli Accordi di Abramo.

Era questa, dunque, «l’essenza del messaggio di Hamas a Netanyahu e alla sua coalizione di governo di estrema destra, composta da suprematisti ebrei e ultraortodossi: non sarete mai a casa vostra, non importa quanta terra vi venderanno i nostri fratelli arabi del Golfo. Vi costringeremo a perdere la testa e a fare cose folli a Gaza che costringeranno gli Stati arabi a evitarvi».

C’è poi il lato che ricorda davvero gli assassini del Bataclan: come quelli, Hamas ha colpito l’anima progressista di Israele, la più lontana dagli integralisti, la più attraente per i palestinesi che vorrebbero una vita normale, senza nemici che ti privano della terra e senza fanatici che ti privano della libertà: a subire l’assalto terroristico sono state «le case degli abitanti dell’Israele pre-1967, dell’Israele democratica, dell’Israele progressista, che viveva in kibbutz pacifici o andava a una festa in discoteca, la tipica festa di chi ama la vita», ha detto al giornalista lo scrittore Ari Shavit. In questo senso, per Hamas «la sola esistenza di Israele è una provocazione».

•La domanda che Israele dovrebbe farsi
È semplicemente questa:

«Cosa vogliono che faccia i miei peggiori nemici e come posso fare il contrario?».

Stamparsi anche la risposta, per favore: «Ciò che vogliono i peggiori nemici di Israele — Hamas e l’Iran — è che Israele entri a Gaza e si impegoli in un’invasione strategica che farebbe sembrare il coinvolgimento dell’America a Falluja (la città irachena che costrinse le forze Usa a durissimi combattimenti tra il 2003 e il 2004, ndr) una festa di compleanno per bambini. Stiamo parlando di combattimenti casa per casa che minerebbero qualsiasi simpatia Israele abbia raccolto sulla scena mondiale, distogliendo l’attenzione del mondo dal regime omicida di Teheran e costringendo Israele a estendere le sue forze per occupare permanentemente Gaza e la Cisgiordania. Hamas e l’Iran non vogliono assolutamente che Israele si astenga dall’entrare a Gaza in profondità o a lungo».

•Il fattore Autorità nazionale palestinese
La screditata entità nata dagli Accordi di Oslo e rimasta una crisalide incompiuta, una patria ridotta allo Stato larvale, un non-Stato: ecco l’altro obiettivo della strage di sabato. Hamas sapeva che, nel suo realismo disperato, l’Anp era pronta ad accettare la pace tra Israele e i sauditi, ma in cambio di concessioni di un qualche significato da parte di Israele, e su cui l’ultradestra aveva già sbarrato la strada a Netanyahu. Il classico gioco in cui gli opposti estremismi — i fascisti teocratici delle due parti — si danno una mano. Ma Netanyahu — che pure è la migliore destra israeliana possibile — non è innocente nemmeno qui. Friedman: «Ha sempre preferito trattare con un Hamas ostile a Israele piuttosto che con il suo rivale, l’Autorità palestinese più moderata, che ha fatto di tutto per screditare, anche se l’Anp ha lavorato a lungo a stretto contatto con i servizi di sicurezza israeliani per mantenere la Cisgiordania tranquilla, e Netanyahu lo sa».

L’analisi è di una nitidezza meravigliosa: «Netanyahu non ha mai voluto che il mondo credesse che esistono “palestinesi buoni” pronti a vivere in pace accanto a Israele e a cercare di coltivarli. Per anni ha sempre voluto dire ai presidenti degli Stati Uniti: Cosa volete da me? Non ho nessuno con cui parlare da parte palestinese». Lo ha scritto bene anche Chuck Freilich, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale israeliana, in un saggio pubblicato domenica su Haaretz: «Per un decennio e mezzo il primo ministro ha cercato di istituzionalizzare la divisione tra la Cisgiordania e Gaza, di minare l’Autorità palestinese, e di condurre una cooperazione de facto con Hamas, il tutto per dimostrare l’assenza di un partner palestinese e per garantire che non ci potesse essere un processo di pace che avrebbe potuto richiedere un compromesso territoriale in Cisgiordania».

•Democrazia contro teocrazia
Il presidente Biden deve dire a Netanyahu che l’America «farà tutto il possibile per aiutare la democratica Israele a difendersi dai fascisti teocratici di Hamas e dai loro fratelli di anima di Hezbollah in Libano, se dovessero entrare in lotta. Ma in cambio Netanyahu deve ricollegarsi all’Israele democratica e liberale, in modo che il mondo e la regione vedano questa non come una guerra di religione, ma come una guerra tra la prima linea della democrazia e la prima linea della teocrazia. Ciò significa che Netanyahu deve cambiare il suo gabinetto, espellere i fanatici religiosi e creare un governo di unità nazionale con Benny Gantz e Yair Lapid». Proprio oggi, il premier ha seguito il suggerimento ma solo in parte: dentro Gantz — che farà parte con lui e con il ministro della Difesa Gallant del Consiglio di sicurezza, quello che farà le scelte decisive sulla guerra — ma non Lapid, che chiedeva la cacciata totale dell’ultradestra. Il che sembra dare ragione a Friedman (anche) quando scrive che «purtroppo Netanyahu continua a dare priorità alla sua coalizione di fanatici, di cui ha bisogno per proteggersi dal suo processo per corruzione e per completare il suo colpo di Stato giudiziario, che azzererebbe la Corte Suprema di Israele. Questo è un vero pasticcio» .

•Cosa ha distratto Israele
A distrarla è stato proprio il «colpo giudiziario», contro il quale si è sollevata (democraticamente) gran parte delle forze armate: «Vi assicuro che se e quando ci sarà un’inchiesta su come l’esercito israeliano abbia potuto non accorgersi di questo rafforzamento di Hamas, gli investigatori scopriranno che i vertici dell’esercito israeliano hanno dovuto dedicare così tanto tempo a evitare che i piloti e gli ufficiali di riserva dell’aeronautica boicottassero il loro servizio per protestare contro il colpo di stato giudiziario di Netanyahu, per non parlare del tempo, dell’attenzione e delle risorse che hanno dovuto dedicare a impedire ai coloni estremisti e ai fanatici religiosi di fare cose folli a Gerusalemme e in Cisgiordania, che hanno distolto lo sguardo dalla palla».

•Il meglio e non il peggio
Che cosa si può aggiungere a queste note così limpide e veritiere? Altre note limpide e veritiere, perché questo articolo è un pozzo inesauribile. Conclude infatti Tom Friedman: «L’America non può proteggere Israele nel lungo periodo dalle minacce reali che deve affrontare, a meno che Israele non abbia un governo che rifletta il meglio, e non il peggio, della sua società, e a meno che questo governo non sia pronto a cercare di forgiare compromessi con il meglio, e non il peggio, della società palestinese».

Grazie Warp.
È di gran lunga l'analisi più interessante che abbia letto in questi giorni sul conflitto in essere. Grazie... Avrò bisogno di rileggerla e di assimilarla.. Non so a quanti potrà piacere ai frequentatori del topic.
Hai il link ? 🙏

Offline vaz

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54691
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1156 il: 12 Ott 2023, 15:10 »

Offline Warp

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10115
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1157 il: 12 Ott 2023, 15:12 »

Offline TomYorke

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11494
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1158 il: 12 Ott 2023, 15:43 »
Ma che domanda è "che succede ora?"
Ma che deve succede, quello che si sapeva sarebbe successo con la continua occupazione e colonizzazione militare di Israele nei confronti dei palestinesi.
Che deve succede...veramente non capisco.

Offline mr_steed

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6304
Re:Guerra in Medio Oriente
« Risposta #1159 il: 12 Ott 2023, 15:47 »
L’ex Cccp: prima avevo una visione ideologica. Adesso penso che i muri siano l’unica soluzione

https://www.open.online/2023/10/12/israele-palestina-hamas-giovanni-lindo-ferretti/


p.s. ho cambiato il titolo, sostituendolo col catenaccio, perché mi sembrava fosse troppo "ad effetto"
 

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